venerdì 21 novembre 2025

I Vescovi italiani ad Assisi (17-20 Novembre 2025)


Il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha pronunciato il discorso introduttivo della 81ª Assemblea Generale nella sede della Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli.

Il Santo Padre, Papa Leone XIV, intervenendo alla chiusura dell’Assemblea ha rivolto il discorso conclusivo ai Vescovi riuniti nella Basilica della Porziuncola.

La tematica trattata dal Cardinale Zuppi ha riguardato la riflessione sul Cammino Sinodale svolto dalle Chiese in Italia e la necessità di prefigurare le prospettive pastorali per i prossimi anni.

In dialogo con i riferimenti del Magistero Pontificio, il Cardinale ha evidenziato “il dono di una strada” offerto dall’Esortazione Apostolica Dilexi te di Papa Leone XIV; nella quale “rifluisce il messaggio di papa Francesco” e si “completa la storia che cominciò con le parole indimenticabili di Giovanni XXIII: La Chiesa si presenta quale è e quale vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri” (Dilexi te, 84).

Ha poi fatto riferimento a “San Francesco e la via della pace”, ispirandosi alla predicazione del Santo a Bologna nel 1222 narrata nelle Fonti Francescane (FF) da Tommaso Da Spalato (FF 2252).

E’ passato quindi a tracciare gli orientamenti emersi nel Cammino sinodale della Chiese in Italia (sinodalità e collegialità), e la “chiamata” ad essere costruttori di comunità “laddove siamo”; concludendo il discorso con lo sviluppo delle tematiche riguardanti “la cultura della prevenzione e della tutela”,”Europa e Mediterraneo: per una speranza visibile”, e “L’Europa” cristiana contemporanea.


Nel suo discorso il Papa Leone XIV ha fatto subito riferimento alle ispirazioni evangeliche e francescane suscitate dal luogo di Assisi; ed ha sviluppato le tematiche legate “alle fondamenta della nostra fede, al kerygma”, e al “riconoscere in Cristo il Salvatore” con la testimonianza in tutti gli ambiti della vita, nello spirito della sinodalità ecclesiale, della fraternità, dell’amicizia, della solidarietà e della pace. In una prospettiva missionaria, di promozione di un umanesimo integrale e di una conversione comunitaria, che caratterizza “una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze”.

Il discorso introduttivo del Cardinale Zuppi ed il discorso del Santo Padre sono leggibili nella loro intierezza sul portale in rete della Conferenza Episcopale Italiana. In questo post ne leggiamo alcuni brani che evidenziano particolarmente l’ispirazione francescana.

Nel discorso dell’Arcivescovo di Bologna si colgono le suggestioni ispirate dalla predica che San Francesco tenne sulla piazza di quella città nel 1222, testimoniata nelle Fonti Francescane e nella lapide celebrativa esistente nell’atrio del palazzo comunale; e si sottolinea l’uso del motto e della preghiera d’intercessione francescani.

La Fonte citata dal Cardinale è anche importante per la descrizione dei tratti fisici di San Francesco che trovano una rappresentazione pittorica coeva nell’affresco del santo al Sacro Speco di Subiaco.

Nel discorso di Leone XIV si sottolineano i riferimenti evangelici e spirituali dell’esempio di San Francesco e dei suoi primi Frati.


Dal discorso del Cardinale Zuppi

Come Chiese in Italia, sentiamo oggi più fortemente l’appassionante chiamata ad andare nella grande messe di questo mondo, per rispondere a tanti che desiderano conoscere il nome del Dio ignoto, per condividere il Pane che sazia, per annunciare il Vangelo della vita eterna a chi, a tentoni, cerca speranza, per curare le sofferenze di una folla stanca e sfinita perché senza pastore. Non giudicare e, quindi, inevitabilmente condannare, ma guardare con gli occhi di Gesù, quelli della compassione, per essere lievito di fraternità.

[...]

La priorità è certamente trasmettere la fede, renderla viva, attraente, farla scoprire nascosta nelle attese e nei desideri del cuore, aiutando a ritrovarne le parole e la prassi. Ecco il nostro orizzonte e la nostra passione. Guardando tanti “senza tetto spirituali” sentiamo la loro condizione, spesso piena di sofferenza, una domanda per costruire case di preghiera, di fraternità con Dio e con il prossimo, dove sperimentare la maternità della Chiesa e vivere l’ascolto della parola che diventa vita. Non abbiamo alcuna ambizione politica o di guadagnare posizioni di potere! Non dobbiamo compiacere alcuno né alcuna forza politica, né abbiamo alcun consenso da guadagnare. Possiamo solo chiedere tanto amore politico, specialmente a chi, si ispira alla bellissima e umanissima dottrina sociale della Chiesa. Ci anima, con tutti i nostri limiti personali, l’amore per il bene del popolo italiano, per il mondo tutto. La nostra unica ambizione – e Dio ci aiuti a realizzarla – è servire il Vangelo di Gesù tra questa gente. Questa è la nostra libertà: la dedizione al servizio della Chiesa e del popolo.

[...]

«La Chiesa è luce solo quando si spoglia di tutto» (Dilexi te, 67). Anche nelle attuali difficoltà della Chiesa troveremo la risposta quando noi ameremo la Parola, spezzeremo il Verbum Domini e il Corpus Domini, ma anche quando ameremo con lo stesso amore il Corpus Pauperum, anch’esso corpo di Gesù. «Il Vangelo è annunciato correttamente solo quando spinge a toccare la carne degli ultimi» (Dilexi te, 48).

San Francesco e la via per la pace

Carissimi Confratelli, non per caso ci ritroviamo in questi giorni ad Assisi, nella città di san Francesco, alla vigilia dell’VIII centenario della sua morte. La sua lezione di fede e di vita appare sorprendentemente attuale. In un tempo come il nostro, sottoposto a continue e progressive spaccature, san Francesco risalta, con piena legittimità, come l’uomo della pace e della concordia evangelica. Al centro di tutto c’è sempre Cristo. Egli viveva in un tempo dilaniato da lotte e discordie cittadine, quando i centri abitati erano teatro di violenze quasi sempre originatesi all’interno delle mura. In quel contesto difficile, Francesco e i suoi frati hanno annunciato, senza titubanze e senza sosta, la pace che viene da Dio, scongiurando gli animi di non cedere alla violenza distruttrice, spingendo tutti a consigli di pace. E non a caso il primo impegno è quello di ricostruire la Chiesa.
Racconta Giovanni da Spalato della sua meditazione a Bologna.

«In quello stesso anno [1222], nella festa dell’Assunzione della Genitrice di Dio, trovandomi allo Studio di Bologna, ho visto san Francesco che predicava sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città. Questo era l’esordio del suo sermone: «Gli angeli, gli uomini, i demoni». Parlò così bene e chiaramente di queste tre specie di spiriti razionali, che molte persone dotte, ivi presenti, rimasero non poco ammirate per quel discorso di un uomo illetterato. Eppure egli non aveva lo stile di un predicatore, perché sembrava dialogasse. In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace».

San Francesco, con il suo Vangelo sine glossa – quali sono le nostre aggiunte di cui liberarci? – ci ha insegnato che la pace parte da noi, dalle nostre scelte. Come ripeteva Benedetto XVI essa s’irradia per attrazione. Quando la fede è sorretta da stili di vita coerenti, sobri ed essenziali, quando si accompagna a un’esistenza serena e gioiosa, diventa contagiosa, come contagiosa si è rivelata, ai suoi tempi e nei secoli a venire, la scelta del Vangelo operata da Francesco. Come il bonum è diffusivum sui così possiamo dirlo anche per la pax

[...]

Carissimi Confratelli, vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre. Affidiamo queste giornate di lavoro comune all’intercessione della Vergine Maria, di San Francesco e di Santa Chiara.



Dal Discorso di Papa Leone XIV

Carissimi fratelli nell’episcopato, buongiorno!

Ringrazio vivamente il Cardinale Presidente per le parole di saluto che mi ha rivolto e per l’invito a essere con voi oggi per concludere l’81ª Assemblea Generale. E sono contento di questa mia prima sosta, seppur brevissima, ad Assisi, luogo altamente significativo per il messaggio di fede, fraternità e pace che trasmette, di cui il mondo ha urgente bisogno.
Qui San Francesco ricevette dal Signore la rivelazione di dover «vivere secondo la forma del santo Vangelo» (2Test 14: FF 116). Il Cristo, infatti, «che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà» (2Lf 5: FF 182).
Guardare a Gesù è la prima cosa a cui anche noi siamo chiamati. La ragione del nostro essere qui, infatti, è la fede in Lui, crocifisso e risorto. Come vi dicevo in giugno: in questo tempo abbiamo più che mai bisogno «di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma» (Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025). E questo vale prima di tutto per noi: ripartire dall’atto di fede che ci fa riconoscere in Cristo il Salvatore e che si declina in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Tenere lo sguardo sul Volto di Gesù ci rende capaci di guardare i volti dei fratelli. È il suo amore che ci spinge verso di loro (cfr 2Cor 5,14). E la fede in Lui, nostra pace (cfr Ef 2,14), ci chiede di offrire a tutti il dono della sua pace.

[...]

In questa prospettiva, la Chiesa in Italia può e deve continuare a promuovere un umanesimo integrale, che aiuta e sostiene i percorsi esistenziali dei singoli e della società; un senso dell’umano che esalta il valore della vita e la cura di ogni creatura, che interviene profeticamente nel dibattito pubblico per diffondere una cultura della legalità e della solidarietà.
Non si dimentichi in tale contesto la sfida che ci viene posta dall’universo digitale. La pastorale non può limitarsi a “usare” i media, ma deve educare ad abitare il digitale in modo umano, senza che la verità si perda dietro la moltiplicazione delle connessioni, perché la rete possa essere davvero uno spazio di libertà, di responsabilità e di fraternità.
Camminare insieme, camminare con tutti, significa anche essere una Chiesa che vive tra la gente, ne accoglie le domande, ne lenisce le sofferenze, ne condivide le speranze. Continuate a stare vicini alle famiglie, ai giovani, agli anziani, a chi vive nella solitudine. Continuate a spendervi nella cura dei poveri: le comunità cristiane radicate in modo capillare nel territorio, i tanti operatori pastorali e volontari, le Caritas diocesane e parrocchiali fanno già un grande lavoro in questo senso e ve ne sono grato.

[...]

Carissimi fratelli, in questo luogo San Francesco e i primi frati vissero appieno quello che, con linguaggio odierno, chiamiamo “stile sinodale”. Insieme, infatti, condivisero le diverse tappe del loro cammino; insieme si recarono dal Papa Innocenzo III; insieme, di anno in anno, perfezionarono e arricchirono il testo iniziale che era stato presentato al Pontefice, composto, dice Tommaso da Celano, «soprattutto di espressioni del Vangelo» (1Cel 32: FF 372), fino a trasformarlo in quella che oggi conosciamo come prima Regola. Questa scelta convinta di fraternità, che è il cuore del carisma francescano insieme alla minorità, fu ispirata da una fede intrepida e perseverante.
Possa l’esempio di San Francesco dare anche a noi la forza per compiere scelte ispirate da una fede autentica e per essere, come Chiesa, segno e testimonianza del Regno di Dio nel mondo. Grazie!


Documentazione iconografica




Fonti e bibliografia:

https://www.vaticannews.va/

https://www.chiesacattolica.it/

https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/

https://www.storiaememoriadibologna.it/

https://monasterosanbenedettosubiaco.it/


Fonti Francescane, EfR, Padova 2004












sabato 8 aprile 2023

Una pagina pasquale

Ultima Cena. Affresco XI sec. S. Angelo in Formis

Gesù andava, in quella primavera del 30, verso Gerusalemme, all'ineludibile incontro tra la storia divina e la storia umana. Quell'ire, tutti insieme gli Evangelisti lo descrissero nella sensazione di un evento importante ed irripetibile, e nei particolari del quotidiano.


Crocifissione di Gesù – Affresco XI sec. Sant’Angelo in Formis



Gesù era cosciente del suo compito e della portata universale del suo agire; e le sue parole divennero pesanti come macigni e come le pietre perfette di un tempio nuovo ed inaudito.
Più che mai, in quelle ultime occasioni, Egli fu legato all'immagine del Padre. E la storia dell'uomo lo sopravanzò nei suoi atti che sembravano prima travolgere il mondo.

Egli era il Figlio del Dio che nella storia aveva voluto manifestare la sua potenza ed il suo amore; Figlio del Dio che alla storia umana riconosceva le sue prerogative e che in essa si inseriva per realizzare il suo progetto di vita, trascendendola.
Gesù si abbandonò alla storia e al Padre; al suo silenzio.

La gloria delle Palme, l'offesa dell'arresto, il ludibrio della condanna, il dolore della Passione, la sua morte umana e terribile sulla Croce; tutto si doveva compiere; per Gesù; per se‚ e per gli uomini; nel momento religioso più alto dell'umanità.
Matteo capì che quella volta a Gerusalemme Gesù avrebbe celebrato l'ultima cena con i suoi discepoli; e forse intuì il senso con cui la storia spirituale di Gesù avrebbe trasceso la storia umana, civile ed anche personale. Gli altri forse non riuscivano ancora ad intuirlo.

Iniziata con un pranzo la sua amicizia con Gesù, all'improvviso questa addiveniva all'ultimo convivio; ed egli lo visse drammaticamente, quasi senza parole.
Descrisse di Gesù solo il gesto eucaristico.
Ma non volle rinunciare a raccontare che, prima di recarsi tutti verso il monte degli ulivi, tutti cantarono i salmi della festa e della speranza.

Matteo fu l'unico a raccogliere anche le motivazioni economiche e l'errore politico di Giuda, che consegnò Gesù alle autorità. A quelle autorità che a Gesù contestarono i crimini dell'usurpazione di titolo, della seduzione del popolo e della bestemmia.
Matteo aveva capito qualcosa di più rispetto agli altri Evangelisti, circa gli esiti di un certo spirito del popolo che sacrificava la purezza della fede al senso pratico.

Gesù aveva parlato del ritorno e della sua risurrezione; e Matteo capì che doveva cogliere aspetti particolari della vicenda in corso.
Come Pietro coraggiosamente e Giovanni, senza timori, sostarono nel cortile del tempio e tra la folla, in attesa delle improbabili possibilità di intervento e poi della soluzione finale; così anche egli rimase coraggiosamente sul luogo, ed assunse un atteggiamento indagatore; e introducendosi tra i meandri del palazzo, riuscì a ghermire notizie e discussioni delle autorità che si tennero fin dopo la morte di Gesù.

Matteo fu l'unico a riportare le preoccupazioni dei sacerdoti del tempio circa la possibilità di una eventuale beffa dei seguaci di Gesù che avrebbero potuto trafugarne il corpo e far credere, così, alla sua risurrezione.
Egli riportò anche la petizione dei sacerdoti a Pilato, per far proteggere il sepolcro:

"Il giorno dopo era sabato. I capi dei sacerdoti e dei farisei andarono insieme da Pilato e gli dissero:
- Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore, quando era vivo ha detto: "Tre giorni dopo che mi avranno ucciso, io risusciterò". Perciò ordina che le guardie sorveglino la tomba fino al terzo giorno, così i suoi discepoli non potranno venire a rubare il corpo e poi dire alla gente:
"E' risuscitato dai morti!"
Altrimenti quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima.
Pilato rispose: - Va bene: prendete le guardie e fate sorvegliare la tomba come vi pare. Essi andarono, assicurarono la chiusura della tomba sigillando la grossa pietra e poi lasciarono le guardie a custodirla." (Mt 27, 62-66)

Ma nonostante tutto Egli risuscitò e rimase ancora un poco con i suoi discepoli.
Matteo, coraggiosamente presente agli eventi ultimi di Gesù, senza preoccuparsi dell'incidenza del fatto sulla fede nella risurrezione, raccontò anche le ultime reazioni delle autorità del tempo:

"Mentre le donne erano in cammino, alcune guardie che sorvegliavano la tomba di Gesù tornarono in città e raccontarono ai capi dei sacerdoti quel che era successo. Allora i capi dei sacerdoti si riunirono insieme con le autorità del popolo e decisero di offrire molti soldi alle guardie dicendo: "Voi dovete dire che sono venuti di notte i suoi discepoli, mentre dormivate, e che l'hanno rubato. Se poi il governatore verrà a saperlo, noi lo convinceremo e faremo in modo che voi non siate puniti". Le guardie presero i soldi e seguirono quelle istruzioni. Perciò questa diceria è diffusa ancor oggi tra gli Ebrei." (Mt 28, 11-15)

Gesù era riapparso in Galilea, ed il luogo di partenza della sua predicazione lo fece divenire quello dei suoi discepoli; i quali, di lì a poco, si portarono in Gerusalemme e diedero inizio formale alla loro predicazione apostolica.


Gesù appare ai Discepoli – Affresco XI sec. Sant’Angelo in Formis



giovedì 30 marzo 2023

Quaresima di San Francesco



Assisi. San Francesco di Cimabue

Con la Regola non bollata (1221) e con la conferma della Regola Bollata (1223), ai suoi frati San Francesco ordinava di vivere con impegno lo spirito della penitenza e del digiuno soprattutto nel tempo che precedeva il Natale e nel tempo che precedeva la Pasqua. Nelle Fonti Francescane si legge: 

Tutti i frati digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. La santa Quaresima, invece, che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno, coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati. Ma l'altra, fino alla Resurrezione del Signore, la digiunino. Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale (FF 84).

Personalmente San Francesco viveva quotidianamente nello spirito della penitenza, e le quaresime per lui erano più numerose e distribuite nel corso dell’anno. 

Egli viveva in primavera, dalle Ceneri al Giovedì Santo, la Quaresima in preparazione alla Pasqua; in estate viveva due quaresime, una dedicata all’Assunta (da lui salutata “vergine fatta Chiesa” – FF 259) che iniziava nel giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo, ed un’altra sulla Verna dedicata all’Arcangelo Michele che iniziava nel giorno dell’Assunta. In inverno poi viveva la quaresima di san Martino in preparazione al Natale. 

In particolare si apprende dalla Leggenda Perugina come Francesco volle istituire per se la quaresima della Verna:

Una volta che Francesco salì all'eremo della Verna, quel luogo così isolato gli piacque talmente, che decise di passare lassù una quaresima in onore di san Michele. Vi era salito prima della festa dell'Assunzione della gloriosa vergine Maria, e contando i giorni da questa festività fino a quella di san Michele, trovò che erano quaranta. Allora disse: «A onore di Dio e della beata Vergine Maria, sua madre e di san Michele, principe degli angeli e delle anime, voglio fare una quaresima quassù» (FF 1649).

E fu proprio in una quaresima dedicata all’Arcangelo, quella dell’estate del 1224, due anni prima della sua morte, che San Francesco ricevette le Sacre Stimmate, a sigillo della sua spirituale imitazione e conformazione a Cristo.

L’umile imitazione di Cristo fu anche la motivazione di una Quaresima vissuta dal Santo nel 1211 sull’isola maggiore del Lago Trasimeno. San Francesco vi giunse dopo alcuni mesi di itineranza e di predicazione a Cortona. 

Quella quaresima è narrata nel capitolo VII dei Fioretti di San Francesco e fu vissuta dal Santo in un digiuno quasi totale, nutrendosi solo con un mezzo pane per scacciare “da sé il veleno della vanagloria”. Leggiamo direttamente dal testo dei Fioretti. 

I FIORETTI DI SAN FRANCESCO D’ASSISI 

CAPITOLO VII
Come santo Francesco fece una Quaresima in un' isola 

del lago di Perugia, dove digiunò quaranta dì e quaranta notti e non mangiò più che un mezzo pane. 

Il verace servo di Cristo santo Francesco, però che in certe cose fu quasi un altro Cristo, dato al mondo per salute della gente, Iddio Padre il volle fare in molti atti conforme e simile al suo figliuolo Gesù Cristo, siccome ci dimostra nel venerabile collegio de' dodici compagni e nel mirabile misterio delle sacrate Istimmate e nel continuato digiuno della santa Quaresima, la qual' egli sl fece in questo modo.

Essendo una volta santo Francesco il dì del carnasciale allato al lago di Perugia, in casa d'un suo divoto col quale era la notte albergato, fu ispirato da Dio ch'egli andasse a fare quella Quaresima in una isola del lago. Di che santo Francesco pregò questo suo divoto, che per amor di Cristo lo portasse colla sua navicella in un'isola del lago dove non abitasse persona, e questo facesse la notte del dl della Cenere, sì che persona non se ne avvedesse. E costui, per l' amore della grande divozione ch' aveva a santo Francesco, sollecitamente adempiette il suo priego e portollo alla detta isola, e santo Francesco non portò seco se non due panetti. Ed essendo giunto nell' isola, e l'amico partendosi per tornare a casa, santo Francesco il pregò caramente che non rivelasse a persona come fosse ivi, ed egli non venisse per lui se non il Giovedì santo. E così si partì colui; e santo Francesco rimase solo. 

E non essendovi nessuna abitazione nella quale si potesse riducere, entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni e arbuscelli aveano acconcio a modo d'uno covacciolo ovvero d'una capannetta; e in questo cotale luogo si puose in orazione e a contemplare le cose celestiali. E ivi stette tutta la Quaresima sanza mangiare e sanza bere, altro che la metà d'uno di quelli panetti, secondo che trovò il suo divoto il Giovedì santo, quando tornò a lui; il quale trovò di due panetti uno intero e mezzo, e l' altro mezzo si crede che santo Francesco mangiasse per reverenza del digiuno di Cristo benedetto, il quale digiunò quaranta dì e quaranta notti sanza pigliare nessuno cibo materiale. E così con quel mezzo pane cacciò da sè il veleno della vanagloria, e ad esempio di Cristo digiunò quaranta dl e quaranta notti. 

Poi in quello luogo, ove santo Francesco avea fatta cosi maravigliosa astinenza, fece Iddio molti miracoli per li suoi meriti; per la qual cosa cominciarono gli uomini a edificarvi delle case e abitarvi, e in poco tempo si fece un castello buono e grande, ed èvvi il luogo de' frati, che si chiama il luogo dell'Isola; e ancora gli uomini e le donne di quello castello hanno grande reverenza e devozione in quello luogo dove santo Francesco fece la detta Quaresima. 

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.


Isola Maggiore Lago Trasimeno. Eremo Francescano

venerdì 17 settembre 2021

Il racconto delle Stimmate di San Francesco

Giotto. San Francesco riceve le stimmate


 Nella Festa liturgica della Impressione delle Stimmate di San Francesco, che si celebra il 17 settembre, la Chiesa prega perché l’esperienza del Santo sia esemplare per infiammare lo spirito dei credenti con il fuoco dell’amore di Cristo.

Tra le parole preparate da papa Benedetto XVI, in occasione della visita alla Verna del 13 maggio 2012 annullata per il maltempo, si legge che due anni prima della sua morte “san Francesco ebbe impresse nel suo corpo le piaghe della gloriosa passione di Cristo”, a sigillo di un cammino spirituale che aveva visto il santo sempre orientato alla contemplazione del mistero della croce: Il suo cammino di discepolo lo aveva portato ad una unione così profonda con il Signore da condividerne anche i segni esteriori del supremo atto di amore della Croce. Un cammino iniziato a San Damiano davanti al Crocifisso contemplato con la mente e con il cuore. La continua meditazione della Croce, in questo luogo santo, è stata via di santificazione per tanti cristiani, che, durante otto secoli, si sono qui inginocchiati a pregare, nel silenzio e nel raccoglimento”. 

Nell’esperienza della Verna il Santo Padre trova importanti spunti di riferimento teologico al pensiero di San Bonaventura, biografo ufficiale di San Francesco, ed offre alcune importanti indicazioni pastorali: La contemplazione del Crocifisso ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta; dalla salvezza sperata, alla patria beata. San Bonaventura afferma: «Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] ... compie con lui la pasqua, cioè il passaggio». Questo è il cuore dell’esperienza della Verna, dell’esperienza che qui fece il Poverello di Assisi. In questo Sacro Monte, san Francesco vive in se stesso la profonda unità tra sequela, imitatio e conformatio Christi. E così dice anche a noi che non basta dichiararsi cristiani per essere cristiani, e neppure cercare di compiere le opere del bene. Occorre conformarsi a Gesù, con un lento, progressivo impegno di trasformazione del proprio essere, a immagine del Signore, perché, per grazia divina, ogni membro del Corpo di Lui, che è la Chiesa, mostri la necessaria somiglianza con il Capo, Cristo Signore.”

Il Messale Serafico per la Festa liturgica delle Stimmate di San Francesco riporta la narrazione della Legenda Minor di San Bonaventura (Quaracchi, 1941, 202-204):

Francesco, servo fedele e ministro di Cristo, due anni prima di rendere a Dio il suo spirito, si ritirò in un luogo alto e solitario, chiamato monte della Verna, per farvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Fin dal principio, sentì con molta più abbondanza del solito la dolcezza della contemplazione delle cose divine e, infiammato maggiormente di desideri celesti, si sentì favorito sempre più di ispirazioni dall’alto.

Un mattino, verso la festa dell’Esaltazione della santa Croce; raccolto in preghiera sulla sommità del monte, mentre era trasportato in Dio da ardori serafici, vide la figura di un Serafino discendente dal cielo. Aveva sei ali risplendenti e fiammanti. Con volo velocissimo giunse e si fermò, sollevato da terra, vicino all’uomo di Dio. Apparve allora non solo alato ma anche crocifisso.
A questa vista Francesco fu ripieno di stupore e nel suo animo c’erano, al tempo stesso, dolore e gaudio. Provava una letizia sovrabbondante vedendo Cristo in aspetto benigno, apparirgli in modo tanto ammirabile quanto affettuoso ma al mirarlo così confitto alla croce, la sua anima era ferita da una spada di compaziente dolore.

Dopo un arcano e intimo colloquio, quando la visione disparve, lasciò nella sua anima un ardore serafico e, nello stesso tempo, lasciò nella sua carne i segni esterni della passione, come se fossero stati impressi dei sigilli sul corpo, reso tenero dalla forza fondente del fuoco.
Subito incominciarono ad apparire nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi; nell’incàvo delle mani e nella parte superiore dei piedi apparivano le capocchie, e dall’altra parte le punte. Il lato destro del corpo, come se fosse stato trafitto da un colpo di lancia, era solcato da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sangue.

Dopo che l’uomo nuovo Francesco apparve insignito, mediante insolito e stupendo miracolo, delle sacre stimmate, discese dal monte. Privilegio mai concesso nei secoli passati, egli portava con sé l’immagine del Crocifisso, non scolpita da artista umano in tavole di pietra o di legno, ma tracciata nella sua carne dal dito del Dio vivente.”

Montefalco. San Bonaventura


Di seguito leggiamo dalle Fonti Francescane il diversificato racconto delle Stimmate di San Francesco, a partire dagli scritti più antichi. 


FF 484-487 (Celano, Vita Prima)

Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato "Verna", due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.

A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.

Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.

Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.


FF 825-831 (Celano, Trattato dei Miracoli)

L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stupendo miracolo, quando apparve insignito di un singolare privilegio, mai concesso nei secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle sacre stimmate e reso somigliante in questo corpo mortale al corpo del Crocifisso. Qualunque cosa si possa umanamente dire di lui sarà sempre inferiore alla lode di cui è degno. Non c'è da chiedersi la ragione di tanto evento, perché fu cosa miracolosa, né da ricercare altro esempio, perché unico. Tutto lo zelo dell'uomo di Dio, sia verso gli altri che nel segreto della sua vita interiore, era centrato attorno alla croce del Signore e, fin dal primo istante in cui cominciò a militare sotto il Crocifisso, diversi misteri della Croce risplendettero attorno a lui.

Quando infatti, all'inizio della sua conversione, aveva deciso di abbandonare ogni vanità di questa vita, Cristo dalla croce gli parlò mentre era intento a pregare; e dalla bocca della stessa immagine scendono a lui queste parole: "Va, Francesco, e ripara la mia casa che, come vedi, va tutta in rovina". Da allora gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo della passione del Signore, e, attuata in pieno la sua conversione interiore, la sua anima cominciò a struggersi per le parole del Diletto.

Proprio perché si era racchiuso nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a forma di croce. Quell'abito, se, in quanto lo rendeva più emulo della povertà, era molto conveniente al suo proposito, tuttavia in esso il Santo testimoniò soprattutto il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente si era rivestita del Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della croce di Cristo, e, nel segno col quale Dio aveva debellato le potestà ribelli, in quello stesso poteva militare al servizio di Dio il suo esercito.

Vide infatti frate Silvestro, uno dei suoi primi frati, e uomo d'ogni virtù, uscire dalla sua bocca una croce dorata, che abbracciava mirabilmente con l'estensione delle sue braccia tutto l'universo. È stato scritto e provato da sicura fonte, come quel frate Monaldo, famoso per i suoi costumi e le opere di pietà, vide con gli occhi del corpo il beato Francesco crocifisso, mentre il beato Antonio predicava della croce. Era usanza imposta con pio mandato ai primi figli, che ovunque scorgessero un'immagine della croce, manifestassero con un segno la dovuta riverenza.

Familiare gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con la quale soltanto firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle. Infatti anche l'uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di celesti visioni, scorse con gli occhi della carne sulla fronte del beato padre, una grande lettera Tau, che risplendeva di aureo fulgore. Per convincimento razionale e per fede cattolica appare giusto che chi era così preso da ammirabile amore della croce, sia divenuto anche mirabile per causa della croce. Nulla pertanto è, più veramente consono a lui, quanto ciò che si predica delle stimmate della croce.

Or ecco come avvenne l'apparizione. Due anni prima di rendere lo spirito al Cielo nell'eremo detto la Verna, in Toscana, ove nel ritiro della devota contemplazione, ormai volgeva tutto se stesso verso la gloria celeste, vide in visione sopra di sé un Serafino che aveva sei ali con le mani e i piedi inchiodati alla croce. Due ali erano poste sul suo capo, due erano distese come per il volo, due infine coprivano interamente il corpo. A questa visione si meravigliò profondamente, ma non comprendendo che cosa essa significasse per lui, fu pervaso nel cuore da gioia mista a dolore. Si rallegrava per le manifestazioni di grazia con le quali il Serafino lo guardava, ma nel medesimo tempo lo affliggeva l'affissione alla croce. Cercò subito di comprendere che cosa potesse significare tale visione e il suo spirito si tendeva ansioso alla ricerca di una spiegazione. Ma, mentre, cercando fuori di sé, l'intelletto gli venne meno, subito nella sua stessa persona gli si manifestò il senso.

D'un tratto cominciarono infatti ad apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite dei chiodi, nella stessa maniera nella quale poco prima le aveva viste sopra di sé nell'uomo crocifisso. Le sue mani e i suoi piedi apparivano trafitti nel centro dai chiodi, con le teste dei chiodi sporgenti nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le loro punte uscivano dall'altra parte. Le teste dei chiodi nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere, le loro punte erano lunghe e ribattute in modo che sorgendo dalla stessa carne sporgevano dalla carne. Anche il fianco destro, come trafitto da una lancia, era segnato da una rossa cicatrice, che emettendo spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la tunica e la veste .


FF 1222-1228 (Bonaventura, Legenda Maior)

Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte e varie fatiche, la Provvidenza divina lo trasse in disparte, e lo condusse su un monte eccelso, chiamato monte della Verna.

Qui egli aveva iniziato, secondo il suo solito, a digiunare la quaresima in onore di san Michele arcangelo, quando incominciò a sentirsi inondato da straordinaria dolcezza nella contemplazione, acceso da più viva fiamma di desideri celesti, ricolmo di più ricche elargizioni divine. Si elevava a quelle altezze non come un importuno scrutatore della maestà, che viene oppresso dalla gloria, ma come un servo fedele e prudente, teso alla ricerca del volere di Dio, a cui bramava con sommo ardore di conformarsi in tutto e per tutto.

Egli, dunque, seppe da una voce divina che, all'apertura del Vangelo, Cristo gli avrebbe rivelato che cosa Dio maggiormente gradiva in lui e da lui.

Dopo aver pregato molto devotamente, prese dall'altare il sacro libro dei Vangeli e lo fece aprire dal suo devoto e santo compagno, nel nome della santa Trinità.

Aperto il libro per tre volte, sempre si imbatté nella Passione del Signore. Allora l'uomo pieno di Dio comprese che, come aveva imitato Cristo nelle azioni della sua vita, così doveva essere a lui conforme nelle sofferenze e nei dolori della Passione, prima di passare da questo mondo.

E benché ormai quel suo corpo, che aveva nel passato sostenuto tante austerità e portato senza interruzione la croce del Signore, non avesse più forze, egli non provò alcun timore, anzi si sentì più vigorosamente animato ad affrontare il martirio.

L'incendio indomabile dell'amore per il buon Gesù erompeva in lui con vampe e fiamme di carità così forti, che le molte acque non potevano estinguerle.

L'ardore serafico del desiderio, dunque, lo rapiva in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso.

Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo.

A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore.

Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione.

Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, I'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito.

Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne.

Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso.

Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all'indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne.

Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande.

Vedeva, il servo di Cristo, che le stimmate impresse in forma così palese non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, nondimeno, di mettere in pubblico il segreto del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: dire quanto aveva visto o tacere?

Chiamò, pertanto, alcuni dei frati e, parlando in termini generali, espose loro il dubbio e chiese consiglio. Uno dei frati, Illuminato, di nome e di grazia, intuì che il Santo aveva avuto una visione straordinaria, per il fatto che sembrava tanto stupefatto, e gli disse: "Fratello, sappi che qualche volta i segreti divini ti vengono rivelati non solo per te, ma anche per gli altri. Ci sono, dunque, buone ragioni per temere che, se tieni celato quanto hai ricevuto a giovamento di tutti, venga giudicato colpevole di aver nascosto il talento".

Il Santo fu colpito da queste parole e, benché altre volte fosse solito dire: "Il mio segreto è per me", pure in quella circostanze, con molto timore, riferì come era avvenuta la visione e aggiunse che, durante l'apparizione il serafino gli aveva detto alcune cose, che in vita sua non avrebbe mai confidato a nessuno.

Evidentemente i discorsi di quel sacro serafino, mirabilmente apparso in croce, erano stati così sublimi che non era concesso agli uomini di proferirli.

Così il verace amore di Cristo aveva trasformato I'amante nella immagine stessa dell'amato.

Si compì, intanto, il numero dei quaranta giorni che egli aveva stabilito di trascorrere nella solitudine e sopravvenne anche la solennità dell'arcangelo Michele. Perciò l'uomo angelico Francesco discese dal monte: e portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente. E, poiché è cosa buona nascondere il segreto del re, egli, consapevole del regalo segreto, nascondeva il più possibile quei segni sacri.

Ma a Dio appartiene rivelare a propria gloria i prodigi che egli compie e, perciò, Dio stesso, che aveva impresso quei segni nel segreto, li fece conoscere apertamente per mezzo dei miracoli, affinché la forza nascosta e meravigliosa di quelle stimmate si rivelasse con evidenza nella chiarezza dei segni.


FF 1482-1484 (Legenda dei Tre Compagni)

Molto egli aveva faticato nella vigna del Signore, sollecito e fervente nelle orazioni, nei digiuni, nelle veglie nelle predicazioni e peregrinazioni evangeliche, nella cura e compassione verso il prossimo, nel disprezzo verso se stesso: e ciò dai primordi della conversione fino al giorno che migrò a Cristo.

Aveva amato Gesù con tutto il cuore, tenendo costantemente nel pensiero il suo ricordo, sempre lodandolo con la parola e glorificandolo con le sue opere fruttuose. Amò Dio con tanto ardore e profondità, che al solo udirlo nominare, come si sentisse liquefare il cuore, effondeva il suo animo commosso, dicendo: "Cielo e terra dovrebbero chinarsi al nome del Signore!".

Quest'amore infiammato e la incessante memoria della passione di Cristo, che celava in cuore, volle il Signore mostrarli a tutto il mondo per mezzo della stupenda prerogativa d'un privilegio eccezionale, con cui lo decorò mentre era ancor vivente nella carne.

Un mattino egli si sentì rapito in alto, verso Dio, da ardenti desideri serafici, mentre una tenera compassione lo trasformava in Colui che, per eccesso di amore, volle essere crocifisso .

Si era verso la festa dell'Esaltazione della croce, due anni prima della sua morte. A Francesco, immerso nell'orazione su un versante del monte della Verna, apparve un serafino: aveva sei ali e tra le ali emergeva la figura di un uomo bellissimo, crocifisso, le cui mani e piedi erano stesi in croce, e i tratti di lui erano chiaramente quelli di Gesù Cristo. Con due ali velava il capo, due scendevano a coprire il corpo, due si tendevano al volto.

Quando la visione scomparve, I'anima di Francesco rimase arroventata d'amore, e nelle sue carni si erano prodotte le stimmate del Signore Gesù Cristo. L'uomo di Dio cercava di nasconderle quanto più poteva, fino alla sua morte, non volendo propalare il segreto del Signore. Ma non arrivò a celare il prodigio totalmente, ché fu scoperto almeno dai compagni viventi in intimità con lui.

Dopo il suo felice transito, tutti i frati presenti alle esequie e grandissimo numero dl laici videro la sua salma adorna delle stimmate d Cristo.

Potevano osservare nelle mani e piedi di lui non le ferite dei chiodi, ma i chiodi stessi formati con le sue carni e come sbocciati dalle sue carni, e del ferro avevano il colore cupo. Il petto, a destra, come fosse stato trapassato da una lancia, era spaccato dalla cicatrice rossa di una vera e visibile ferita; e mentre ancora il Santo viveva, ne sgorgava spesso del sangue.

La verità innegabile di queste stimmate fu constatata durante la vita e alla sua morte, ché poterono essere viste e toccate. Dopo la sepoltura, il Signore volle più chiaramente dichiarare la loro autenticità per mezzo di molti miracoli accaduti in diverse contrade del mondo.


FF 1649 (Legenda Perugina)

Una volta che Francesco salì all'eremo della Verna, quel luogo così isolato gli piacque talmente, che decise di passare lassù una quaresima in onore di san Michele. Vi era salito prima della festa dell'Assunzione della gloriosa vergine Maria, e contando i giorni da questa festività fino a quella di san Michele, trovò che erano quaranta. Allora disse: " A onore di Dio e della beata Vergine Maria, sua madre e di san Michele, principe degli angeli e delle anime, voglio fare una quaresima quassù ".

Entrato nella cella dove intendeva soggiornare tutto quel periodo, nella prima notte pregò il Signore di mostrargli qualche segno da cui potesse conoscere se era volontà divina ch'egli rimanesse sulla Verna. Infatti, Francesco, allorché si fermava in qualche luogo per un periodo di orazione o andava in giro per il mondo a predicare, sempre si preoccupava di conoscere il volere di Dio, affine di maggiormente piacergli. A volte egli temeva che, sotto pretesto di stare isolato per attendere all'orazione, il suo corpo volesse riposare, rifiutando la fatica di andare a predicare per il mondo, per la salvezza del quale Cristo discese dal cielo. E faceva pregare quelli che gli parevano prediletti dal Signore, affinché Dio mostrasse loro la sua volontà, se cioè Francesco dovesse andare per il mondo a evangelizzare il popolo o se talora dovesse ritirarsi in qualche luogo solitario a fare orazione.

Sul far del mattino, mentre era in preghiera, uccelli di ogni specie volarono sulla cella del Santo; non tutti insieme però, ma prima veniva uno e cantava, facendo dolcemente il suo verso, e poi volava via, indi veniva un altro, cantava, ripartiva; e così fecero tutti. Francesco fu assai meravigliato della cosa, e ne trasse grande consolazione. Ma poi prese a riflettere cosa volesse significare quell'omaggio, e il Signore gli rispose in spirito: " Questo è il segno che il Signore ti farà delle grazie in questa cella e ti darà copiose consolazioni ".

E fu veramente così. Invero, fra le altre consolazioni intime o palesi comunicategli dal Signore, ebbe l'apparizione del Serafino da cui trasse viva consolazione spirituale per tutto il tempo che visse.


Considerazioni sulle Stimmate

Viene il dì seguente, cioè il dì della santissima Croce, e santo Francesco la mattina per tempo innanzi dì si gitta in orazione dinanzi all'uscio della sua cella, volgendo la faccia inverso l'oriente, e orava in questa forma: "O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch'io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori". E stando lungamente in cotesto priego, sì intese che Iddio lo esaudirebbe e che, quanto e' fusse possibile a pura creatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose in brieve.

Avendo santo Francesco questa promessa, comincia a contemplare divotissimamente la passione di Cristo e la sua infinita carità. E crescea tanto il fervore in lui della divozione, che tutto sì si trasformava in Gesù, e per amore e per compassione. E istando così infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina e' vide venire dal cielo uno Serafino con sei ali risplendenti e affocate; il quale Serafino con veloce volare appressandosi a santo Francesco, sì ch'egli il potea discernere, e' conobbe chiaramente che avea in sé l'immagine d'uomo crocifisso, e le sue alie erano così disposte, che due alie si distendeano sopra il capo, due se ne distendeano a volare e l'altre due sì copriano tutto il corpo.

Veggendo questo, santo Francesco fu fortemente ispaventato e insieme fu pieno d'allegrezza e di dolore con ammirazione. Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli apparia così dimesticamente e guatavalo così graziosamente: ma da altra parte veggendolo crocifisso in croce, aveva smisurato dolore di compassione. Appresso si maravigliava molto di così istupenda e disusata visione, sapendo bene che la infermità della passione non si confà colla immortalità dello ispirito serafico. E istando in questa ammirazione, gli fu rivelato da colui che gli apparia, che per divina provvidenza quella visione gli era mostrata in cotale forma, acciò ch'egli intendesse che, non per martirio corporale, ma per incendio mentale egli doveva essere tutto trasformato in nella espressa similitudine di Cristo crocifisso.

In questa apparizione mirabile tutto il monte della Vernia parea ch'ardesse di fiamma isplendidissima, la quale risplendeva e illuminava tutti li monti e le valli d'intorno, come se fusse il sole sopra la terra. Onde li pastori che vegliavano in quelle contrade, vedendo il monte infiammato e tanta luce d'intorno, sì ebbono grandissima paura, secondo ch'eglino poi narrarono a' frati, affermando che quella fiamma era durata sopra 'l Monte della Vernia per ispazio d'una ora e più. Similemente allo splendore di questo lume, il quale risplendeva negli alberghi della contrada per le finestre, certi mulattieri ch'andavano in Romagna si levarono suso, credendo che fusse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro e camminando sì vidono il detto lume cessare e levarsi il sole materiale.

E nella detta apparizione serafica Cristo, il quale apparia, sì parlò a santo Francesco certe cose secrete ed alte, le quali santo Francesco in vita sua non volle rivelare a persona, ma dopo la sua vita il rivelò, secondo che si dimostra più giù; e le parole furono queste: "Sai tu, disse Cristo, quello ch'io t'ho fatto? Io t'ho donato le Stimate che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sia il mio gonfaloniere. E siccome io il dì della morte mia discesi al limbo, e tutte l'anime ch'io vi trovai ne trassi in virtù di queste mie Istimate; e così a te concedo ch'ogni anno, il dì della morte tua, tu vadi al purgatorio, e tutte l'anime de' tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, ed eziandio degli altri i quali saranno istati a te molto divoti, i quali tu vi troverai, tu ne tragga in virtù delle tue Istimate e menile alla gloria di paradiso, acciò che tu sia a me conforme nella morte, come tu se' nella vita".

Disparendo dunque questa visione mirabile, dopo grande spazio e segreto parlare, lasciò nel cuore di santo Francesco uno ardore eccessivo e fiamma d'amore divino, e nella sua carne lasciò una maravigliosa immagine ed orma delle passioni di Cristo. Onde immantanente nelle mani e ne' piedi di santo Francesco cominciarono ad apparire li segnali delli chiovi, in quel modo ch'egli avea allora veduto nel corpo di Gesù Cristo crocifisso, il quale gli era apparito in ispezie di Serafino; e così parevano le mani e li piedi chiovellati nel mezzo con chiovi, li cui capi erano nelle palme delle mani e nelle piante de' piedi fuori delle carni, e le loro punte riuscivano in sul dosso delle mani e de' piedi, in tanto che pareano rintorti e ribaditi, per modo che fra la ribaditura e torcitura loro, la quale riusciva tutta sopra la carne, agevolmente sì si sarebbe potuto mettere il dito della mano, a modo che 'n uno anello; e li capi de' chiovi sì erano tondi e neri. Similemente nel costato ritto apparve una immagine d'una ferita di lancia, non salda, rossa e sanguinosa, la quale poi spesse volte gittava sangue del santo petto di santo Francesco e insanguinavagli la tonica e li panni di gamba.