sabato 11 febbraio 2017

L’esperienza di Dio del venerabile p. Sosio Del Prete

“… perchè, dopo il Tabernacolo, la casa del povero è più vicino al cielo.”


E’ l’indicazione dei luoghi della carità e dell’apostolato descritta da padre Sosio Del Prete nella sua personale narrazione affidata ad un manoscritto autobiografico in parte pubblicato nel libro “Il cielo in terra”, stampato in due edizioni (2001 e 2008) in memoria del frate francescano fondatore delle Piccole Ancelle di Cristo Re e per perorarne la causa di beatificazione.
Padre Sosio Del Prete (1885-1952) è stato dichiarato Venerabile il 26 aprile 2016 da Papa Francesco, e dopo le celebrazioni che hanno coinvolto la Diocesi di Napoli e le Piccole Ancelle anche Frattamaggiore, città ove egli nacque e visse la sua vocazione giovanile, il 14 gennaio 2017 ha avuto l’occasione di partecipare solennemente alla lettura del Decreto di Venerabilità durante la Santa Messa vespertina presieduta da Mons. Angelo Spinillo Vescovo di Aversa.
Varie pubblicazioni, articoli libri monografie ed un portale ufficiale in rete, hanno ampiamente trattato l’opera e la vita del Venerabile padre Sosio, mettendone in risalto gli aspetti legati alla spiritualità francescana, alla vocazione giovanile nel luogo natio, agli orientamenti artistici e musicali, alla consacrazione sacerdotale e alla sua opera di fondatore delle Piccole Ancelle di Cristo Re insieme con la Serva di Dio Antonietta Giugliano (1909-1960).
Il lavorio interiore di Sosio Del Prete, legato alla vocazione religiosa e alla personale riflessione del suo discernimento spirituale, ha trovato eccellenti riscontri in molte presentazioni storiche e agiografiche, specialmente in quelle operate da Padre Teodosio Muriaudo, da Ferdinando D'Ambrosio, da Ulderico Parente, da Suor Antonietta Tuccillo, da Gennaro Luongo e da Antonio Vincenzo Nazzaro.
L’Eucaristia, il Tabernacolo, insieme con l’impegno ad operare per i poveri, rivolgendosi alla loro casa e ai loro bisogni, rappresentano per padre Sosio gli aspetti fondamentali della sua esperienza di Dio.
Questi aspetti emergono con chiarezza sia dalla narrazione personale di padre Sossio che possiamo leggere di seguito nei brani del manoscritto autobiografico pubblicati da suor Antonietta Tuccillo, e sia dalla riflessione teologica di Mons. Bruno Forte posta come prefazione al libro “Il cielo in terra”.


Dal manoscritto autobiografico di padre Sosio del Prete.
«Ad Afragola, nel celebre Santuario antoniano, come Vicario ed organista […], nella pace solenne del Convento, tornavano e si maturavano nella coscienza del Padre quelle belle parole di N.S. Gesù Cristo: “Quello che farete ad uno dei miei poverelli, lo riterrò fatto a me stesso”. L’animo suo, francescanamente chino verso le cose umili buone, volle dare una giustificazione ed una conferma alle parole di Dio. E vi torna con maggiore maturità di coscienza per un maggiore approfondimento del valore dell’uomo e dei suoi destini. Senza trascurare i suoi doveri in Convento, si diede tutto ad una vita di apostolato […] di carità verso i poverelli del paese e verso i bisognosi di aiuto e di conforto. A quest’apostolato, lui si dedicava con tutto lo slancio e la dedizione più generosa della sua anima sacerdotale […]. Per essere sempre pronto, Padre Sosio Del Prete si faceva trovare sempre o in coro a pregare od in confessionale ove ascoltava le sante confessioni. A questo attendeva quasi sempre dalle 5 alle 6 ore al giorno e non si risparmiava mai; era sempre pronto ad accorrere o per confessione o per assistenza o per amministrazione dei S. Sacramenti agli infermi, dovunque venisse chiamato ed in qualsiasi ora, sia di giorno che di notte».
«Ma dove intensificò questo apostolato di bene e di carità fu verso i poverelli ed i bisognosi, o come egli li chiamava “le pupille degli occhi di Dio”. Amava assai i poverelli e da essi era pure riamato con grande affetto, chiamandolo loro padre e loro benefattore nonché loro amico. Per questo quando usciva dal Convento era seguito sempre da un seguito di poverelli e di ragazzi ed a tutti dava qualcosa o pane od altro cibo che per loro siera privato di mangiare a refettorio. Pensava continuamente ai poverelli, li provvedeva di quanto potevano avere bisogno, distribuendo a loro, col permesso dei superiori, tutto ciò che riceveva dai suoi benefattori e da altri. Molte volte la madre gli notava la mancanza ora di calze, ora di camice, ora di lenzuola, ora di altri capi di biancheria e si logoravano il cervello pensando chi mai avesse potuto sottrargli dal guardaroba di casa sua, tutti quei capi di biancheria ed allora si inquietavano quando venivano a sapere che era stato lui a distribuirla ai poverelli bisognosi.
Il cuore del Padre verso i poverelli era tenerissimo. Si inteneriva subito al racconto di qualche miseria e si calmava solo quando era riuscito a portare un sollievo a qualche dolore ed a lenire qualche miseria. Non risparmiava fatica, non conosceva intemperie nelle rigide stagioni, sempre di giorno e di notte si portava dovunque fosse richiesta la sua opera di carità e di apostolato verso i poverelli. A proposito di ciò, diceva sovente di ritenerlo a più grande grazia, se il Signore, nella Sua bontà infinita, si fosse degnato di chiamarlo o mentre celebrava la S. Messa, o mentre assisteva un poverello infermo, perché, dopo il Tabernacolo, la casa del povero è più vicino al cielo».

Dalla prefazione di Mons. Bruno Forte
Dove abita Dio? Padre Sossio Del Prete - fondatore insieme a Madre Antonietta Giugliano delle Piccole Ancelle di Cristo Re - ha risposto a questa domanda anzitutto con la sua vita, che è stata costantemente rivolta ai due luoghi privilegiati, dove egli aveva riconosciuti e incontrati la divina Presenza: il Tabernacolo, vera tenda di Dio fra gli uomini; e i poveri, i più vicini al cielo. Questi due luoghi li vedeva rappresentati e come congiunti nel luogo supremo dove l'Eterno si è detto nel tempo: la Croce. «Ai piedi della Croce sono sbocciati due fiori, si sono svegliate due passioni, le più belle, le più umane, le più divine: l'amore a Dio e l'amore agli uomini» (n. 244). Dove il Povero muore abbandonato, tutti i poveri di tutti i tempi e i luoghi della storia sono rappresentati: il Suo amore crocifisso li accoglie tutti, li raggiunge tutti e chiede di essere riamato amando loro. […]
È da questi luoghi dell'incontro con la divina presenza dell'Amato che Padre Sossio ha attinto il suo programma, la regola di vita e il progetto della sua opera: farsi povero per accogliere; andare ai poveri per donare. Vero figlio di San Francesco, egli ha compreso che la povertà è al tempo stesso la condizione per lasciarsi amare da Dio e la sorgente dell'amore al prossimo, che bussa alla porta del nostro cuore con la sua povertà. I bisogni del povero sono i diritti nei nostri confronti: il riconoscerci poveri davanti a Dio è la via che ci consente di lasciarci arricchire da Lui di quei doni, con cui solo potremo corrispondere alla domanda del povero. È ancora una volta Colui che si è fatto povero per noi a riassumere nell'eloquenza silenziosa del dono supremo questo programma, che tutto abbraccia: «Gesù adorabile [...] la vostra Croce è una cattedra che insegna all'umanità le parole della vita. Nessuna cattedra è più eloquente della vostra Croce, intrisa del vostro sangue. Nessuna rivelazione è più sublime di questa che ci lasciaste nelle ultime ore della vostra agonia». (n. 246). Amare Gesù Crocifisso, spogliato di tutto, contemplarlo nel Suo abbandono, seguirlo sulla via del crocifisso amore, per la forza che Lui stesso irradia su di noi dal pane di vita: ecco la spiritualità di Padre Sossio, detta negli innumerevoli frammenti dei suoi testi, quasi tutti occasionali e legati al servizio della predicazione e della formazione. Un messaggio forte, trasmesso attraverso la povertà dei mezzi, nella fragile consistenza di una forma, totalmente finalizzata a far passare la dolce, nutriente potenza del contenuto.




Le cose meravigliose delle Lodi di San Francesco d'Assisi

Grandissima importanza, religiosa e letteraria, è sempre stata riconosciuta al Cantico delle Creature di San Francesco d'Assisi. E' il canto della fraternità universale, dono precipuo del francescanesimo, e lo si è considerato anche il primo testo poetico della letteratura italiana.
La “poetica spiritualtà” di Francesco e delle sue parole hanno un seme ed una luce ulteriore nella Parola di Dio che egli riverbera nelle sue Lodi al Signore. E il Cantico delle Creature diviene continuazione, espressione e segno, di un altro componimento svolto con il ritmo e la preghiera dei Salmi e del Vangelo: le Lodi di Dio Altissimo (FF 61) che si possono considerare come il Cantico del Creatore che Francesco scrive come preghiera che l'umile frate rivolge al Padre Santo.
San Francesco scrisse queste Lodi quando stava vivendo l'esperienza delle Stimmate sul monte La Verna (settembre 1224), e le donò autografe ad un frate sconsolato per la contemplazione spirituale delle "cose meravigliose" operate da Dio.
Che siano state direttamente scritte da Francesco lo testimonia frate Tommaso da Celano nella Vita Seconda di San Francesco D'Assisi (FF 635, 49). Così Tommaso narra l'avvenimento:

Mentre il Santo era sul monte della Verna, chiuso nella sua cella, un confratello desiderava ardentemente di avere a sua consolazione uno scritto contenente parole del Signore con brevi note scritte di proprio pugno da san Francesco. Era infatti convinto che avrebbe potuto superare o almeno sopportare più facilmente la grave tentazione, non della carne ma dello spirito, da cui si sentiva oppresso.
Pur avendone un vivissimo desiderio, non osava confidarsi col Padre santissimo ma ciò che non gli disse la creatura, glielo rivelò lo Spirito.
Un giorno Francesco lo chiama: «Portami - gli dice - carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore ».
Subito gli portò quanto aveva chiesto, ed egli, di sua mano, scrisse le Lodi di Dio e le parole che aveva in animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: «Prenditi questa piccola carta e custodiscila con cura sino al giorno della tua morte ».
Immediatamente fu libero da ogni tentazione, e lo scritto, conservato, ha operato in seguito cose meravigliose.

Di seguito leggiamo il testo scritto da Francesco ispirato ai Salmi e al Vangelo.

LODI DI DIO ALTISSIMO
Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose (Sal 76,15).
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo (Sal 85,10),
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra (Gv 17,11; Mt 11,25).
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi (Sal 135,2),
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero (1Ts 1,9).
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine (Sal 70,5),
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
5 Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia,
Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore (Sal 30,5),
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio (Sal 42,2).
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza,Tu sei la nostra vita eterna

grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore. 

Bibliografia:
Scritti di San Francesco d'Assisi
Fonti Francescane

San Pasquale Baylon


Vita – San Pasquale Baylon da giovane ed umile pastorello desiderò ardentemente di divenire frate francescano nel convento di Santa Maria di Loreto presso il quale egli portava le sue pecore al pascolo. Nacque e morì in un giorno di Pentecoste: il 16 Maggio 1540 a Torre Hermosa ed il 17 Maggio 1592 a Villareal. La sua vocazione religiosa fu intensamente vissuta, impegnata nello studio autodidatta, arricchita di ascetiche attese, incoraggiata da visioni divine e dalla apparizione dei Santi Francesco e Chiara. La spiritualità eucaristica, unita alla devozione mariana, fu il tratto fondamentale della sua vita religiosa, interamente vissuta nell’obbedienza dell’umile frate servitore del convento e dei poveri, e nella costante contemplazione del mistero della presenza sacramentale del Signore. In un contesto storico caratterizzato dalla disputa con i protestanti che si affermavano in Europa, Pasquale viaggiò molto per il suo Ordine ed affinò i ragionamenti a difesa e a testimonianza della fede cattolica. Scrisse anche un compendioso trattato teologico ed apologetico che fu utilissimo per i molti suoi confratelli studiosi e teologi impegnati nelle controversie dell’epoca. La sua vita fu ricca di carità e di segni miracolosi, e la sua morte fu accompagnata da prodigi collegati alla sua devozione e alle celebrazioni eucaristiche nella Chiesa del suo convento. Era stato ammesso tra i francescani alcantarini nel 1564, come fratello laico, dopo 6 anni dalla sua richiesta e dopo aver dato prova di una vocazione santa ed irrinunciabile. Fu proclamato beato nel 1618 e fu canonizzato nel 1690. Il suo culto si diffuse subito a Roma, in Spagna, nel Regno di Napoli e negli altri luoghi della dominazione spagnola e della missione francescana nel mondo.
Il francescanesimo in Campania – L’ordine francescano fu portato in Campania verso il 1215 da frate Agostino d'Assisi, discepolo di san Francesco, e da allora fu avviata la “Provincia Terrae Laboris” che abbracciava gran parte del Regno di Napoli. Nel 1670 la Provincia francescana di Terra di Lavoro era divisa in Osservante e Riformata, e fra queste, favorita dal Viceré Don Pietro d'Aragona, si inserì anche la Custodia di San Pietro d'Alcantara, di provenienza spagnola e dotata di Costituzioni austere, impegnative e fortemente ascetiche. Gli Alcantarini presero possesso della Casa di Santa Lucia al Monte di Napoli e si estesero in tutto il Regno, fino a Lecce, diffondendo anche la loro devozione a San Pasquale.
In Campania essi, incorporando anche i riformati Barbanti, ebbero i conventi di Santa Caterina e San Pasquale di Grumo Nevano, di San Giambattista di Atripalda, e di Santa Maria Occorrevole e San Pasquale di Piedimonte Matese.
Questi Frati avviarono una esperienza religiosa all'interno della quale si formarono Santi come Giovanni Giuseppe della Croce, Maria Francesca delle Cinque Piaghe, il Beato Egidio di San Giuseppe ed il beato Modestino di Gesù e Maria.
Nella prima metà dell’ 800 i Frati Alcantarini erano diffusi in più conventi del napoletano e del casertano, ed erano riusciti a scampare alle leggi punitive borboniche e alla soppressione napoleonica. Oggi tutti i Francescani di Terra di Lavoro, da Minturno a Teano, da Roccamonfina a Caserta, da Piedimonte Matese a Pietramelara, da Orta di Atella a Grumo Nevano, da Afragola a Somma Vesuviana, da Napoli a Torre, sono riuniti nella Provincia del SS. Cuore di Gesù, istituita nel 1942.
Patrono dei Congressi Eucaristici Noi pensiamo che la grazia più segnalata largitaci da Dio debba indicarsi nello sviluppo tra i fedeli della devozione verso il Sacramento della Eucaristia, per merito dei celebri Congressi tenuti nel nostro tempo a tale scopo. […] Per animare i cattolici a professare con franchezza la loro fede e a praticare le virtù proprie dei cristiani, non c’è mezzo più efficace che nutrire e aumentare la pietà del popolo verso questo ineffabile pegno di amore, che è vincolo di unità e di pace […] Spesso lodammo i Congressi e le Associazioni eucaristiche, ora, nella speranza di vederli produrre frutti più abbondanti, giudichiamo utile di assegnare loro un Patrono celeste, scelto tra i Santi che hanno bruciato di più ardente carità verso il Santissimo Sacramento dell’Eucarestia.
Ora fra i Santi, la cui pietà verso questo sublime mistero si è manifestata con un fervore più vivo, Pasquale Baylon occupa il posto più degno. Dotato di un gusto mirabile per le cose celesti, dopo di aver santamente passata la gioventù a guardare il gregge, abbracciò una vita più austera nell’Ordine dei Frati Minori della stretta osservanza; e, con la contemplazione abituale dell’augusto Convito dell’altare, pervenne a una conoscenza più perfetta di questo Sacramento d’amore.
Anche sprovvisto di lettere, ebbe tale scienza celeste, che fu capace di dare responsi sui dogmi più difficili e perfino di scrivere libri di fede. Professò apertamente in faccia agli eretici la verità Eucaristica, per il che ebbe a patire molte e gravi persecuzioni; ed, emulo del martire Tarcisio, fu minacciato più volte di morte. Finalmente l’affettuoso ardore della sua pietà sembrò prolungarsi al di là della vita mortale, perché, durante i funerali, pur disteso nella bara, aprì, come si dice, gli occhi due volte, al momento delle due elevazioni.
Noi siamo persuasi che le Associazioni cattoliche, di cui abbiano parlato, non possano essere affidate a un patrocinio migliore. […] Sperando che la Nostra decisione favorisca l’interesse e il bene del popolo cristiano, Noi dichiariamo e constituiamo, di nostra suprema autorita’, e in virtu’ delle presenti lettere, San Pasquale Baylon, Patrono speciale dei Congressi Eucaristici e di tutte le Associazioni che hanno per oggetto la divina Eucaristia, tanto di quelle che sono già esistenti, quanto di quelle che saranno per sorgere.
Facciamo voti, con molta fiducia, che, per gli esempi e il Patrocinio di questo gran Santo, aumenti, tra i fedeli, il numero di coloro che consacrano tutti i giorni il loro amore, i loro disegni e il loro zelo a Gesù Cristo nostro Salvatore.
                                                Lettera Pontificia di Leone XIII del 28 novembre del 1897


San Francesco d'Assisi diacono

Assisi - Basilica inferiore
dipinto del XIV secolo
Le Fonti Francescane (FF), in particolare la Vita Prima di Tommaso da Celano, portano la testimonianza scritta che San Francesco era diacono. Vi sono anche fonti iconografiche in cui Francesco appare con il segno proprio e la veste liturgica del diacono: Il libro del Vangelo e la dalmatica.
La testimonianza scritta del Celano si riferisce alla notte di Natale del 1223 quando Francesco si trovava all'eremo di Greccio e volle realizzare con la gente del luogo una rappresentazione viva della Natività di Betlemme, il primo presepe vivente della tradizione popolare natalizia italiana.
Leggiamo di seguito la narrazione.

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. 
Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. 
In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

Assisi - Basilica superiore
Giotto - Presepe di Greccio
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. 
Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. 
Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. 
E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. 
Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. (FF 469-470)

Assisi - Basilica superiore
Giotto - Innocenzo III approva la Regola
Francesco era diacono”: il Celano rimanda ad un tempo più remoto di quella notte del 1223 il contesto dell'ordinazione diaconale del santo della quale non si legge in altra fonte.
Grazie ad altri luoghi delle fonti francescane si possono avere indicazioni per giustamente collocare l'ordinazione diaconale nel decennio precedente ed ancorarla all'approvazione verbale della Vita(Regola) che Francesco ebbe nel 1209 per la sua fraternità da Papa Innocenzo III insieme con l'Autorizzazione Apostolica alla predicazione del Vangelo. Il Papa impose a Francesco e ai suoi Frati di prendere la tonsura; così rendendoli chierici li pose al servizio religioso della Chiesa ed evitò la dispersione ereticale della loro originale esperienza di radicale povertà evangelica. Il cardinale Ugolino che appoggiò moltissimo le istanze francescane presso il Papa, anche del successore Onorio III eletto nel 1216, assunse poi il ruolo di protettore del nascente ordine francescano.
Nel profondo legame con il Vescovo di Assisi, che venerava come un padre, e con la Gerarchia di Roma, si ritrova il contesto originario dell'ordinazione di frate Francesco diacono, prima chierico e predicatore itinerante, il quale non volle accedere al presbiterato per umiltà e persistente spirito di servizio ai fratelli e al Signore.
La scelta di Francesco di rimanere permanentemente diacono assume oggi un particolare significato storico-teologico che attiene l'ordine e la funzione del diaconato in quanto tale nella Chiesa.
Dalla sua istituzione nella Chiesa apostolica del I secolo fino all'epoca altomedievale (VI-VII secolo) il diaconato ha avuto sempre una sua dimensione caratterizzante all'interno dell'ordine ecclesiale (diacono, presbitero, vescovo); poi per i secoli successivi, fino al Concilio Vaticano II nel XX secolo, esso è stato vissuto nella pratica soprattutto come una fase del cammino verso l'ordinazione sacerdotale. Il Concilio di Trento (XVI secolo) riconobbe e ripropose il carattere permanente del diaconato, ma esso fu ancora essenzialmente vissuto come transito per il sacerdozio.
Il diaconato permanente, che oggi è tornato ad essere vissuto in maniera significativa nell'ambito dell'ordine ecclesiale, ha poi ricevuto la sua definizione dal magistero del Vaticano II nella Lumen Gentium (LG), la costituzione dogmatica sulla Chiesa del 1964.
La scelta 'minore' di Francesco di rimanere diacono, profetica per l'esperienza ecclesiale e per la spiritualità del suo tempo, era in linea con le dimensioni ecclesiali del diaconato delle origini e ridonava ad esso l'antica forma spirituale della vocazione al servizio e della carità operante:
In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella diaconia della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e col suo presbiterio” (LG III, 29). 


San Francesco d'Assisi visto da Papa Francesco

L'Omelia di Papa Francesco del 4 ottobre 2013, detta durante la celebrazione della Santa Messa sulla Piazza del Portico dei Pellegrini della Basilica del Santo, contiene un grande ritratto di agiografia pastorale con preghiera di San Francesco d'Assisi.
Il “Pace e Bene” salutare del cammino francescano, che proviene dalla unione nell'animo del Santo dell' “amore per i poveri e dell'imitazione di Cristo povero”, si origina “dallo sguardo di Gesù sulla croce”. La Pace francescana “non è un sentimento sdolcinato” ed il Francesco ingenuamente associato a questo sentimento “non esiste”, come non esiste l'idea della pace legata ad una sorta di “armonia panteistica con le energie del cosmo”.
La pace di Francesco è quella di Cristo, e la trova colui che “prende su di sé” il “giogo” del comandamento della Carità - Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (Gv13,34; 15,12) - e lo porta senza arroganza e presunzione, ma “con mitezza e umiltà di cuore”.
Propongo direttamente alla lettura l'omelia del Santo Padre raggiungibile sul portale del Vaticano.

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Francesco, Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Pace e bene a tutti! Con questo saluto francescano vi ringrazio per essere venuti qui, in questa Piazza, carica di storia e di fede, a pregare insieme.
Oggi anch’io, come tanti pellegrini, sono venuto per rendere lode al Padre di tutto ciò che ha voluto rivelare a uno di questi “piccoli” di cui ci parla il Vangelo: Francesco, figlio di un ricco commerciante di Assisi. L’incontro con Gesù lo portò a spogliarsi di una vita agiata e spensierata, per sposare “Madonna Povertà” e vivere da vero figlio del Padre che è nei cieli. Questa scelta, da parte di san Francesco, rappresentava un modo radicale di imitare Cristo, di rivestirsi di Colui che, da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). In tutta la vita di Francesco l’amore per i poveri l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, le due facce di una stessa medaglia.
Che cosa testimonia san Francesco a noi, oggi? Che cosa ci dice, non con le parole – questo è facile – ma con la vita?
1. La prima cosa che ci dice, la realtà fondamentale che ci testimonia è questa: essere cristiani è un rapporto vitale con la Persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, èassimilazione a Lui.
Da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso, che anch’io oggi potrò venerare. In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una «nuova creatura». Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori. Per questo Francesco può dire, come san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare da Lui, a lasciarci perdonare, ricreare dal suo amore.
2. Nel Vangelo abbiamo ascoltato queste parole: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29).
Questa è la seconda cosa che Francesco ci testimonia: chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. E’ la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro (cfr Gv20,19.20).
La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore.
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci ad essere “strumenti della pace”, della pace che ha la sua sorgente in Dio, la pace che ci ha portato il Signore Gesù.
3. Francesco inizia il Cantico così: “Altissimo, onnipotente, bon Signore… Laudato sie… cun tutte le tue creature” (FF,1820). L’amore per tutta la creazione, per la sua armonia! Il Santo d’Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo; aiutarlo a crescere, a essere più bello e più simile a quello che Dio ha creato. E soprattutto san Francesco testimonia il rispetto per tutto, testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio - il Creatore - lo ha voluto. Non strumento degli idoli che noi creiamo! L’armonia e la pace! Francesco è stato uomo di armonia, uomo di pace. Da questa Città della Pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’amore: rispettiamo la creazione, non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione. Sentiamo il grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa, tanto amata da san Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, in tutto il mondo.
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: ottienici da Dio il dono che in questo nostro mondo ci sia armonia, pace e rispetto per il Creato!
Non posso dimenticare, infine, che oggi l’Italia celebra san Francesco quale suo Patrono. E do gli auguri a tutti gli italiani, nella persona del Capo del governo, qui presente. Lo esprime anche il tradizionale gesto dell’offerta dell’olio per la lampada votiva, che quest’anno spetta proprio alla Regione Umbria. Preghiamo per la Nazione italiana, perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide.

Faccio mia la preghiera di san Francesco per Assisi, per l’Italia, per il mondo: «Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordarti sempre della sovrabbondante pietà che in [questa città] hai mostrato, affinché sia sempre il luogo e la dimora di quelli che veramente ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e gloriosissimo nei secoli dei secoli. Amen» (Specchio di perfezione, 124: FF, 1824).

Prologo francescano di spiritualità biblica

La Verna - San Francesco detta la Regola
Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, con tutta la loro forza ed amano il loro prossimo come se stessi, ed odiano il proprio corpo con i suoi vizi e peccati, e ricevono il corpo ed il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno degni frutti di penitenza: quanto mai sono felici questi e queste, facendo tali cose e perseverando in esse …

E' l'esordio di San Francesco d'Assisi al prologo della Regola del terz'ordine francescano, ad esortazione dei fratelli e delle sorelle della penitenza. E' la via del bene e della fede che si contrappone alla via dei “ciechi che non riconoscono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo”.
Nel formulare la regola dei secolari Francesco opera lo spontaneo ragionamento del santo che si conforma a Cristo e al suo Vangelo e lo propone ai suoi discepoli come orientamento del cammino per la salvezza.
L'ispirazione biblica (Dt 30, 1-3) è decisa. Dare la regola è dare un comandamento, il primo e il più grande di tutti: l'amore totale per Dio; insieme con l'altro che gli è simile: l'amore del prossimo come di se stessi. Allo stesso modo l'ispirazione del salmo (Sal 1, 1-3) delle due vie è luminosa:

Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere.

Impegnativa è l'ispirazione della conversione, il monito ancorchè biblico del Battista: “preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Lc 3,4). E appare sul cammino della santità evangelica, che Francesco ha mostrato con la regola ai frati e alle sore penitenti, luminosa, la conferma di Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv. 14, 6).

Il Prologo della Regola dell'Ordine Francescano Secolare è una esortazione di San Francesco rivolta “ai fratelli e alle sorelle della penitenza” con argomentazioni incoraggianti per “quelli che fanno penitenza” e con argomentazioni scoraggianti per “quelli che non fanno penitenza”. Nello stile semplice ed efficace della devota pedagogia comunitaria ed ecclesiale che ha nella Didachè, l'anonimo insegnamento apostolico dei primi secoli, un sorprendente modello di riferimento spirituale. 
Ecco l'esordio della Didachè

“Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. Ora questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri”.