giovedì 1 ottobre 2020

Frate Francesco e la vita del Vangelo

 Vivere come testimone del Signore ed immergersi nell’annuncio del suo Vangelo. E’ il senso del cammino religioso ed umano di Francesco d’Assisi (1181-1226). E’ l’esempio personalmente offerto, e a chiare lettere, ai suoi frati, alle sue sore, e ai suoi amici devoti. Francesco lo dice in tutti i luoghi da lui narrati e che di lui narrano. Fino all’incontro con sorella morte.

Assisi – Giotto: Francesco dona il suo mantello

Penitenza e conversione

Da giovane mondano il Signore gli “dette d’incominciare penitenza” portandolo prima all’incontro con il dolore del lebbroso e poi alla riflessione che lo portò ad “uscire dal mondo”. Lo racconta egli stesso nel Testamento:

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (FF 110).

Il Signore lo riempì poi del sentimento comunitario e dell’amore sacro per la sua dimora e per la sua presenza sacramentale in tutte le chiese; a tal punto che Francesco era solito così pregare:

Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo” (FF 111).


Assisi – Giotto: Francesco dinanzi al Crocifisso

E dialogando con il Crocifisso diceva:

Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio. Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta, senno e cognoscemento, Signore, che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen” (FF 276).


La Regola dei Frati

Quando si accorse che avrebbe dovuto indicare la strada anche ai frati che incominciarono a seguirlo e a stargli vicino, Francesco chiese al Signore di illuminarlo; e così egli racconta:

E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò” (FF 116).


Assisi – Giotto: Francesco dinanzi al Papa

Correva l’anno 1209. A questo proposito dicono le Fonti della Regola non bollata:

Questa è la prima Regola che il beato Francesco compose, e il signor papa Innocenzo gli confermò senza bolla. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo! Questa è la vita del Vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata. Ed egli la concesse e la confermò per lui e per i suoi frati presenti e futuri. Frate Francesco e chiunque sarà a capo di questa Religione, prometta obbedienza e reverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori. E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire a frate Francesco e ai suoi successori” (FF 1-4).


L’imitazione di Cristo

La vita del Vangelo e l’imitazione di Cristo rappresentano così il senso del cammino spirituale francescano che s’inoltra sulle orme del Signore Gesù. Sono il contenuto dell’esortazione di Francesco ai suoi frati:

Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle! […] Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama dl manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore” (FF 155 e FF 176).

E la manifestazione dell’Altissimo, dice Francesco nella Lettera ai fedeli, è lo stesso Verbo del Padre:

Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita. L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele, annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E, prossimo alla passione, celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». E prendendo il calice disse: «Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati». Poi pregò il Padre dicendo: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice». E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra. Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: «Padre, sia fatta la tua volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu». E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme. E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo con cuore puro e col nostro corpo casto” (FF 180-184).



Assisi – Giotto: Il trono di Francesco


La spiritualità eucaristica

Il Corpo del Signore è offerto quindi in espiazione dei peccati e la sua memoria sacramentale serve ad esempio per seguirne le orme. E’ quello eucaristico l’ulteriore versante della spiritualità francescana conformata alla imitazione di Cristo. Ed è anche il significato dell’implorazione di Francesco, rivolta ai suoi frati nella Lettera a tutto l’Ordine, affinché abbiano riverenza del Corpo del Signore:

Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l’amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l’onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente” (FF 217).

Nella stessa lettera l’esortazione del santo ai frati si estende anche al necessario zelo che essi devono avere per le cose di Dio e per il decoro liturgico della sua sacra dimora:

E poiché chi è da Dio ascolta le parole di Dio, perciò noi, che in modo tutto speciale siamo deputati ai divini uffici, dobbiamo non solo ascoltare e praticare quello che Dio dice, ma anche, per radicare in noi l’altezza del nostro Creatore e la nostra sottomissione a lui, custodire i vasi sacri e i libri liturgici, che contengono le sue sante parole. Perciò, ammonisco tutti i miei frati e li incoraggio in Cristo perché, ovunque troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti a loro, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente disperse in qualche luogo, le raccolgano e le ripongano in posto decoroso, onorando nelle sue parole il Signore che le ha pronunciate. Molte cose infatti sono santificate mediante le parole di Dio e in virtù delle parole di Cristo si compie il sacramento dell’altare” (FF 224-225).

Il Signore stesso rivelò a Francesco il saluto che i frati dovevano dire: “Il Signore ti dia la pace!” (FF 121). Questo saluto evoca quello dello stesso Signore risorto apparso ai discepoli riuniti nel Cenacolo: “Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20, 21). Camminare sul mandato evangelico del Signore ai suoi discepoli è lo stile del cammino francescano sulle orme di Gesù.


Assisi – Giotto: Il Natale di Greccio


La conformazione a Cristo

Negli ultimi anni della sua vita, dalla notte di Natale del 1223, vissuta nell’esperienza del presepe vivente di Greccio, attraverso l’esperienza delle Stimmate ricevute nella solitudine della Verna (1224), fino al Beato transito alla Porziuncola (3 ottobre 1226), Francesco d’Assisi visse veramente in maniera intensa la sua personale conformazione a Cristo.

I racconti biografici delle Fonti Francescane mettono in risalto vari aspetti, a volte anche oleografici di quelle esperienze, ma soprattutto riconoscono la profondità dell’esperienza di fede del Santo e il dono della Grazia del Signore.

Il primo biografo (Tommaso da Celano nella Vita Prima) mette particolarmente in risalto di Francesco la sua relazione con il Vangelo di Cristo:

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore [...] Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo” (FF 466-470).


Assisi – Giotto: Francesco riceve le stimmate


Le stimmate

Anche l’esperienza di Francesco all’eremo della Verna ebbe un fondamentale riferimento al Vangelo. Ciò si evince dalla narrazione della stessa fonte del Celano:

Un giorno si accostò all'altare che era stato eretto in quell'eremitorio, e vi depose sopra devotamente il libro dei Vangeli. Poi, prostrato in preghiera non meno col cuore che col corpo, implorava umilmente Dio buono, padre della misericordia e Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3) che si degnasse manifestargli il suo santissimo volere, e perché potesse condurre a compimento quello che un tempo aveva intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di rivelargli alla prima apertura del libro quanto gli conveniva fare. Si conformava così a quegli antichi grandi maestri di santità che avevano agito, ispirati da Dio, in modo analogo. Terminata la preghiera, si alzò e con spirito di umiltà e contrizione di cuore (Dn 3,9), fatto il segno della santa croce, prese il libro dall'altare e lo aprì con riverenza e timore. Ora avvenne che alla apertura del libro, la prima cosa sulla quale si posarono i suoi occhi fu la passione di nostro Signor Gesù Cristo, ma solo nel tratto in cui viene predetta. Per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e riaperse il libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o somigliante. Il servo di Dio che era pieno dello Spirito di Dio, capì allora che sarebbe entrato nel Regno dei Cieli solo attraverso innumerevoli tribolazioni, angustie e lotte” (FF 482-483).

Lo stato d’animo di Francesco in quella situazione si può comprendere dalla stessa sua preghiera (Absorbeat) così formulata e che si legge dalle Fonti Francescane nei suoi Scritti:

Rapisca, ti prego, o Signore, I’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio” (FF 277).

La narrazione del Celano sull’esperienza della Verna così continua:

Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato «Verna », due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.

Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande” (FF 484-485).


Assisi – Giotto: Morte di Francesco

Il beato transito

Francesco volle concludere la sua vicenda terrena nello stesso luogo ove era nata la sua vocazione e ove si era formata la sua comunità di frati; e si fece portare alla Porziuncola:

Dimorava allora il Santo nel palazzo del vescovo di Assisi, e pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l'anima a Dio là dove, come abbiamo detto, per la prima volta aveva conosciuto chiaramente la via della verità […] Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre (Gv 12,1; 13,1). Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima di averne l'ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel volume contenesse tutta intera la Bibbia.

E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato «transito» e la benedetta fine, quell'anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell'eterna luce, e il corpo s'addormentò nel Signore” (FF 507-512).

Jacopa de’ Settesoli, la nobildonna romana che ospitava Francesco quando si recava a Roma, e che a questi e ai suoi frati aveva donato il luogo ove sorge la chiesa di San Francesco a Ripa, si ritrovò miracolosamente presente alla dipartita del Santo alla Porziuncola. Proprio nel momento in cui Francesco le fece scrivere la lettera con la quale la pregava di venire ad Assisi con i ceri e il cilicio per la sepoltura e con qualche dolce che ella a Roma preparava apposta per lui:

A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco poverello di Cristo, augura salute nel Signore e la comunione dello Spirito Santo. Sappi, carissima, che Cristo benedetto, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli, poiché se non verrai prima di tale giorno, non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno di cilicio in cui tu possa avvolgere il mio corpo e la cera per la sepoltura. Ti prego ancora di portarmi di quei dolci, che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma” (FF 253-255).


Assisi – Simone Martini: Jacopa dei Settesoli

La fonte del Celano (Trattato dei miracoli) così narra:

Giacoma dei Settesoli, la cui fama nella città di Roma era pari alla sua santità, aveva meritato il privilegio di un particolare affetto da parte del Santo. Non sta a me ripetere, a lode di lei, l'illustre casato, la nobiltà della famiglia, le ampie ricchezze, ed infine la meravigliosa perfezione delle sue virtù, la lunga castità vedovile. Essendo dunque il Santo ammalato di quella malattia, che doveva condurlo, dopo tante sofferenze, con morte beata, al felice compimento della sua vita, pochi giorni prima di morire, chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se voleva vedere colui che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno verso la patria, si affrettasse a venire. Si scrive una lettera, si cerca un messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio. All'improvviso si udì alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d'una comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei, che invece cercava lontano. Stupito, si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioia disse: «Padre, ti annunzio una buona novella». Il Santo, prevenendolo, gli rispose: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare, perché per fratello Giacoma non c'è da osservare il decreto relativo alle donne!»” (FF 860).

La stessa fonte del Trattato dei miracoli narra anche che donna Jacopa ebbe occasione di vedere con i suoi occhi le stimmate impresse nella carne del Santo e che ella si adoperò perché si conoscesse da tutti la santità e la somiglianza di Francesco con il Cristo crocifisso.

Alla morte di Francesco, che avvenne sul finire del sabato, volò sulla Porziuncola uno stormo di allodole. Lo narrò Bonaventura nella sua Leggenda Maggiore:

Le allodole, che sono amiche della luce e han paura del buio della sera, al momento del transito del Santo, pur essendo già imminente la notte, vennero a grandi stormi sopra il tetto della casa e roteando a lungo con non so qual insolito giubilo, rendevano testimonianza gioiosa e palese alla gloria del Santo, che tante volte le aveva invitate a lodare Dio” ( FF 1245).


Assisi – Giotto: Ultimo saluto di Chiara a Francesco

Nella stessa Leggenda Maggiore San Bonaventura narra anche del corteo che in quel giorno accompagnò il Santo in Assisi passando per il Convento di San Damiano e per ricevere l’ultimo saluto di Chiara e delle sorelle, e delle vicende che portarono alla canonizzazione di Francesco:

Difatti, appena si diffuse la notizia del transito del beato padre e la fama del miracolo, una marea di popolo accorse sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il prodigio, per scacciare ogni dubbio della ragione e accrescere l'emozione con la gioia. I cittadini assisani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare e a baciare quelle stimmate sacre.

Uno di loro, un cavaliere dotto e prudente, di nome Gerolamo, molto noto fra il popolo, siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del Santo, alla presenza dei frati e degli altri cittadini, tastava con le proprie mani i piedi e il fianco, per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio, palpando e toccando quei segni veraci delle piaghe di Cristo.

Perciò anche costui, come altri, divenne in seguito fedele testimone di questa verità, che aveva riconosciuto con tanta certezza e la confermò giurando sul santo Vangelo. I frati e figli, che erano accorsi al transito del Padre, insieme con tutta la popolazione, dedicarono quella notte, in cui l'almo confessore di Cristo era morto, alle divine lodi: quelle non sembravano esequie di defunti, ma veglie d'angeli. Venuto il mattino, le folle, con rami d'albero e gran numero di fiaccole, tra inni e cantici scortarono il sacro corpo nella città di Assisi. Passarono anche dalla chiesa di San Damiano, ove allora dimorava con le sue vergini quella nobile Chiara, che ora è gloriosa nei cieli. Là sostarono un poco con il sacro corpo e lo porsero a quelle sacre vergini, perché lo potessero vedere insignito delle perle celesti e baciarlo. Giunsero finalmente, con grande giubilo, nella città e seppellirono con ogni riverenza quel prezioso tesoro, nella chiesa di San Giorgio, perché là, da fanciullino, egli aveva appreso le lettere e là, in seguito, aveva predicato per la prima volta. Là, dunque, giustamente trovò, alla fine, il primo luogo del suo riposo. Il venerabile padre passò dal naufragio di questo mondo nell'anno 1226 dell'incarnazione del Signore, il 4 ottobre, la sera di un sabato, e fu sepolto la domenica successiva. L'uomo beato, appena fu assunto a godere la luce del volto di Dio, incominciò a risplendere per grandi e numerosi miracoli. Così quella santità eccelsa, che durante la sua vita si era manifestata al mondo con esempi di virtù perfetta a correzione dei peccatori, ora che egli regnava con Cristo, veniva confermata da Dio onnipotente per mezzo dei miracoli, a pieno consolidamento della fede. I gloriosi miracoli, avvenuti in diverse parti del mondo, e i generosi benefici impetrati per la sua intercessione, infiammavano moltissimi fedeli all'amore di Cristo e alla venerazione per il Santo. Poiché la testimonianza delle parole e dei fatti proclamava ad alta voce le grandi opere che Dio operava per mezzo del suo servo Francesco, ne giunse la fama all'orecchio del sommo pontefice, papa Gregorio IX. A buona ragione il pastore della Chiesa, riconoscendo con piena fede e certezza la santità di Francesco, non solo dai miracoli uditi dopo la sua morte, ma anche dalle prove viste con i suoi propri occhi e toccate con le sue proprie mani durante la sua vita, non ebbe il minimo dubbio che egli era stato glorificato nei cieli dal Signore. Quindi, per agire in conformità con Cristo, di cui era Vicario, con pio pensiero decise di proclamarlo, sulla terra, degno della gloria dei santi e di ogni venerazione” (FF 1249-1257).


Greccio - Icona di Francesco 

 Assisi – Codice del Cantico di Frate Sole

Il Cantico di Frate Sole

L’anno precedente malato agli occhi e quasi cieco, trascorrendo qualche tempo nel convento di San Damiano ospite di santa Chiara e delle Sorelle, Francesco aveva aggiunto le ultime strofe al suo Cantico di Frate Sole:


Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfane,

et nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,

spetialmente messor lo frate Sole,

lo quale è iorno et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento

et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,

la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,

per lo quale ennallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore

et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’I sosterrano in pace,

ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo vivente po’ skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate

e serviateli cum grande humilitate” (FF 263).

P. S.


lunedì 18 maggio 2020

Omaggio a Maria di San Pasquale Baylon


Effige seicentesca della canonizzazione
Cenni biografici. San Pasquale Baylon da giovane ed umile pastorello desiderò ardentemente di divenire frate francescano nel convento di Santa Maria di Loreto presso il quale egli portava le sue pecore al pascolo. Nacque e morì in un giorno di Pentecoste: il 16 Maggio 1540 a Torre Hermosa ed il 17 Maggio 1592 a Villareal. 
La sua vocazione religiosa fu intensamente vissuta, impegnata nello studio autodidatta, arricchita di ascetiche attese, incoraggiata da visioni divine e dalla apparizione dei Santi Francesco e Chiara. 
La spiritualità eucaristica, unita alla devozione mariana, fu il tratto fondamentale della sua vita religiosa, interamente vissuta nell’obbedienza dell’umile frate servitore del convento e dei poveri, e nella costante contemplazione del mistero della presenza sacramentale del Signore. 
In un contesto storico caratterizzato dalla disputa con i protestanti che si affermavano in Europa, Pasquale viaggiò molto per il suo Ordine ed affinò i ragionamenti a difesa e a testimonianza della fede cattolica. Scrisse anche un compendioso trattato teologico ed apologetico che fu utilissimo per i molti suoi confratelli studiosi e teologi impegnati nelle controversie dell’epoca. 
La sua vita fu ricca di carità e di segni miracolosi, e la sua morte fu accompagnata da prodigi collegati alla sua devozione e alle celebrazioni eucaristiche nella Chiesa del suo convento. Era stato ammesso tra i francescani alcantarini nel 1564, come fratello laico, dopo 6 anni dalla sua richiesta e dopo aver dato prova di una vocazione santa ed irrinunciabile. 
Fu proclamato beato nel 1618 e fu canonizzato nel 1690. Il suo culto si diffuse subito a Roma, in Spagna, nel Regno di Napoli e negli altri luoghi della dominazione spagnola e della missione francescana nel mondo.

Devozione mariana. La vita del santo francescano è stata narrata da vari autori e con vari intenti, da quelli processuali ecclesiastici disposti per la beatificazione e la canonizzazione nel XVII secolo a quelli apologetici e devozionali divulgati fino ai tempi più recenti. 
Non mancano saggi e ricerche scritti e svolte per documentare anche il valore teologico ed il significato spirituale dell’opera autografa di San Pasquale (il cartapacio) ricca di riflessioni sulla fede e di esercizi orazionali. 



Una vasta biblioteca ed un ampio repertorio museale sono dislocati in Spagna e a livello internazionle in vari luoghi francescani ed accademici, ed assumono una posizione di riferimento le opere del Santuario di Villareal, la Basilica Pontificia dedicata alla custodia delle reliquie del santo.

Nel 1601 padre J. Ximenez dedicò decine di pagine del suo libro (Chronica del B. Fray Pasqual Baylon) alla presentazione dei testi autografi del frate per il quale era in corso il processo canonico.
Da questo libro ho ricavato qualche spunto per una piccola dedica mariana di maggio, nel giorno dedicato al santo di cui porto il nome, fatta con le parole di frate Pasquale.
Il riferimento a Maria è immediatamente presente nella intestazione del cartapacio manoscritto del santo.


Si leggono poi, tra le numerose redatte dal santo, alcune preghiere e riflessioni devozionali rivolte alla Vergine Santa. Esse sono particolarmente belle e semplici e le leggiamo di seguito nelle parole originali della madre lingua e con sicuro frutto spirituale.




In questi componimenti di frate Pasquale risultano interessanti sia la moderna visione ecclesiologica della fede (Maria Madre della CHiesa) e sia il sentimento della umile poesia che si lega alla sua preghiera (le rose bianche delle Ave Maria con le rose rosse dei Pater noster che vanno a comporre l’inedito formulario del Rosario di Gesù).

Un bel commento sulla devozione mariana del frate, con il riferimento anche di alcune sue parole, si può leggere tra le pagine del libro agiografico scritto al tempo della canonizzazione (fine del XVIII secolo) da P. Christoforo D'Arta per la divulgazione in lingua italiana della Vita del santo francescano (Vita, virtù, e miracoli di San Pasquale Baylon minore osservante; Venezia 1691).
In queste pagine si descrivono le manifestazioni di un devozione cara al santo e praticata fin dalla sua giovinezza di pastorello vissuta tra i pascoli dell'Aragona.




Nella Liturgia delle Ore del proprio di San Pasquale (17 maggio) è riportato per l'Ufficio delle Letture questo testo del Santo:

Dagli «Scritti» di san Pasquale Baylon (Ed. I. Sala, Toledo 1811, pp. 78ss., 85ss.)

Bisogna cercare Dio sopra ogni altra cosa
Poiché Dio desidera ardentemente donarci cose buone, abbi la certezza che egli ti darà tutto quello che tu chiedi. Non chiedere comunque nulla prima che Dio non ti abbia mosso a chiedere, in quanto egli è più disposto ad esaudire la tua richiesta che tu a chiedere; egli sempre aspetta che noi chiediamo. Per cui a chiedere ti spinga più la volontà di Dio che vuole donarti, anziché la necessità di chiedere: le preghiere quindi devono essere sempre fatte in vista dei meriti di nostro Signore Gesù Cristo. Esercita quindi la tua anima in continue ed intense azioni, desiderando quello che Dio desidera, rimuovendo dalla tua volontà tutto ciò che di bene o guadagno potrebbe a te venire da quella richiesta. Anzi questo chiedi sommamente: che Dio sia cercato sopra ogni altra cosa. È infatti cosa degna che prima e soprattutto si cerchi Dio, anche perché la divina Volontà vuole che riceviamo ciò che chiediamo per divenire più idonei a servirlo ed amarlo più perfettamente. Tutte le tue preghiere siano fatte con questa disposizione, e quando chiedi questo, chiedilo per amore e con amore, istantemente e importunamente. Separa il tuo cuore dalle cose di questo mondo; e ricordati che in questo ,| mondo niente altro esiste se non tu e Dio solo. Non allontanare, neppure per breve tempo, il tuo cuore da Dio; i tuoi pensieri siano semplici e umili; sempre sollecita la tua attenzione su te stesso, ed il tuo amor di Dio sopra tutte le cose come profumo che si spande. Rendere grazie a Dio non è altro che un atto interno dell'anima per il quale uno riceve un bene celeste riconoscendo Dio immenso e Signore dell'universo, dal quale viene ogni bene; e gode per tutta la gloria che ne viene a Dio, in quanto è stato reso degno di tale grazia, per cui è pronto ad amare Dio sempre più e a servire il Datore di ogni bene. Quando ricevi qualche dono da Dio offrigli quello che sei con gioia e letizia, umiliando te stesso e disprezzandoti, rinunciando alla tua volontà in modo da poterti dedicare interamente al suo servizio. Rendi molte, anzi infinite grazie, rallegrandoti della potenza e della bontà del Signore, che ti elargisce doni e benefici, per i quali ora gli rendi grazie. E se vuoi che il tuo rendimento di grazie sia accetto a Dio, prima di farlo, umilia, rinnega e disprezza te stesso, riconoscendo la tua povertà e miseria, sì da comprendere che tutto quello che hai, lo hai ricevuto dalla munificenza di Dio, godendo e rallegrandoti nel vederti arricchito di grazia e di doni, e poco considerando il bene o l'utilità che ne potrebbe derivare, affinché tu possa meglio servire Dio.

Madonna del pozzo, tra i santi alcantarini
Devozione in San Pasquale a Chiaia (Napoli)