mercoledì 2 ottobre 2019

L’abito spirituale di Santa Caterina Volpicelli


La spiritualità di Caterina Volpicelli, fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore, fu considerata dal cardinale Michele Giordano “tutta cristologica” (Card. M.Giordano in: AA.VV., Caterina Volpicelli nella cordata di santi dell’Ottocento meridionale, Napoli 1995), per il suo fondamentale riferirsi alla consacrazione al Sacro Cuore di Gesù. Si tratta di una particolare espressione della Volpicelli che aderì in maniera originale alla devozione che si sviluppò nel panorama della vita religiosa e della riflessione teologica che si delinearono nella cattolicità europea, a partire dal XVI secolo, sulla base dell’esperienza mistica di Santa Margherita a Paray-le-Monial.
Tale spiritualità ebbe anche eccezionali originalità mariane nell’esperienza di Caterina, la quale “nel Sacro Cuore” attinse sicuramente le energie per rendere operanti ed esemplari la carità e la direzione spirituale della sua Congregazione, ma anche “nella fede della Vergine” ella pose la speranza del suo agire e del suo servizio di “Ancella del Signore”. Un riferimento storico in tal senso fu l’originalità mariana della vocazione giovanile di Caterina, la quale amava nominarsi Maria Caterina e frequentava l’oratorio delle Sacramentine ove si venerava la Madre del Buon Consiglio, portando al suo polso la decina di un rosario di corallo per pregare anche nelle occasioni mondane.
La spiritualità che diviene azione ed animazione ecclesiale, costruzione nella carità della comunità di preghiera e di condivisione fraterna delle problematiche del popolo, è il tratto dell'opera di Caterina Volpicelli indicato dal Cardinale Crescenzio Sepe in occasione del 125° anniversario della fondazione del Santuario napoletano del Sacro Cuore ( 21 dicembre 2008).
I tratti eucaristici della spiritualità della beata Caterina furono sottolineati direttamente da Giovanni Paolo II nell'omelia per il giorno della beatificazione in San Pietro (29 Aprile 2001):
La Beata Caterina Volpicelli dall’Eucaristia seppe trarre sempre quell’ardore missionario che la spinse ad esprimere la sua vocazione nella Chiesa, docilmente sottomessa ai Pastori e profeticamente intenta a promuovere il laicato e forme nuove di vita consacrata. Fu la prima “zelatrice” dell’Apostolato della Preghiera in Italia e lascia in eredità, specialmente alle Ancelle del Sacro Cuore, una singolare missione apostolica che deve continuare ad alimentarsi incessantemente alla fonte del Mistero eucaristico”.
Con le parole che Benedetto XVI ha dedicato alla santa napoletana nel giorno della canonizzazione, Domenica 26 aprile 2009, si completa il suo ritratto spirituale:
Testimone dell’amore divino fu anche santa Caterina Volpicelli, che si sforzò di “essere di Cristo, per portare a Cristo” quanti ebbe ad incontrare nella Napoli di fine Ottocento, in un tempo di crisi spirituale e sociale. Anche per lei il segreto fu l’Eucaristia. Alle sue prime collaboratrici raccomandava di coltivare una intensa vita spirituale nella preghiera e, soprattutto, il contatto vitale con Gesù eucaristico. E’ questa anche oggi la condizione per proseguire l’opera e la missione da lei iniziate e lasciate in eredità alle “Ancelle del Sacro Cuore”. Per essere autentiche educatrici della fede, desiderose di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cultura cristiana, è indispensabile, come amava ripetere, liberare Dio dalle prigioni in cui lo hanno confinato gli uomini. Solo infatti nel Cuore di Cristo l’umanità può trovare la sua “stabile dimora”. Santa Caterina mostra alle sue figlie spirituali e a tutti noi, il cammino esigente di una conversione che cambi in radice il cuore, e si traduca in azioni coerenti con il Vangelo. E’ possibile così porre le basi per costruire una società aperta alla giustizia e alla solidarietà, superando quello squilibrio economico e culturale che continua a sussistere in gran parte del nostro pianeta.”
Tra i tanti contributi, alla scoperta e alla conoscenza dei tratti spirituali della vita e dell’opera di Santa Caterina Volpicelli, assume una particolare importanza il libro Caterina Volpicelli donna della Napoli dell’Ottocento di mons. Antonio Illibato, Archivista della Diocesi di Napoli. Si tratta di un tomo di circa 600 pagine che pone il lettore a confronto con un contesto storico complesso e con una personalità affascinante. Esso è stato dato alla stampa nel 2008, nell'ultimo anno del decennio trascorso dalla beatificazione di Caterina (2001) alla sua canonizzazione (2009), e si comprende l'importanza del suo contributo alla conoscenza della figura della santa napoletana. Le rigorose pagine di storia scritte e documentate con il riferimento diretto alle fonti archivistiche e bibliografiche, riguardanti il quadro epocale ed il succedersi degli avvenimenti, costituiscono dimensioni ed approcci oggettivi che lasciano al lettore l’intuizione e la scoperta dell’anima della protagonista del libro.
Il taglio archivistico ed il procedimento della ricerca dell’autore consentono la tracciatura di un tratto storico del cattolicesimo napoletano tra prima e seconda metà dell’ottocento. Si tratta di un percorso conoscitivo, per molti aspetti inediti, che porta alla scoperta di un mondo, di una cultura e di un certo numero di personalità, relativamente note ma di grande rilevanza e significato nella chiesa cattolica europea dell’epoca.
La figura di Caterina Volpicelli, con lo sviluppo della sua opera religiosa, viene continuamente stagliata e rapportata ai vari momenti storici; e ne emerge una documentata storia personale della santa relazionata agli avvenimenti napoletani e ai riverberi europei, soprattutto italiani e francesi, della cultura e della spiritualità cattolica legata alla devozione del Sacro Cuore di Gesù.
Contribuisce il libro anche a far emergere alcuni aspetti interessanti che riguardano il legame che la vocazione religiosa di Caterina ha avuto fin dal suo manifestarsi con una ispirazione alla forma di vita francescana. L’interesse sorge perché è possibile scorgere il corpo della Santa, rivestito dell’abito “francescano”, nell’urna di vetro della sua Peregrinatio che quest’anno si svolge nella Basilica di San Sossio (29 settembre – 6 ottobre 2019) in occasione della celebrazione degli 80 anni di presenza delle Ancelle del Sacro Cuore a Frattamaggiore.


Si leggono dal libro i seguenti riferimenti:

Il 19 settembre 1855 Caterina, per trascorrere qualche ora di serenità, si recò con alcune «giovani amiche» a visitare il convento della Palma, dove conobbe p. Ludovico da Casoria. Il suo aspetto, rammenterà più tardi, «mi attirò grandemente e più ancora il suo parlare dolce e soave, ed animato veramente da un’unzione celeste». Invitata ad entrare nel Terz’Ordine, decise «nel momento» di indossare lo scapolare e cingere il cordone francescano, anche se prima non ci aveva mai pensato.
[…]
Nei primi giorni del 1873 Caterina fittò la parte del suo palazzo, restata vuota, alle suore Bigie di p. Ludovico da Casoria, che verosimilmente vi si trasferirono poco dopo. La loro permanenza alla Salute durò, probabilmente, sino alla fine di quell’anno.
[…]
La casa di Caterina Volpicelli, per circa un quarto di secolo, fu un attivo centro di spiritualità, in cui trovarono accoglienza numerose anime desiderose di perfezione. È stato detto della parte avuta da p. Ludovico da Casoria negli anni della giovinezza della sua. Quando, trovata la propria strada, la fondatrice si trasferì alla Salute con la sua minuscola comunità non vennero meno i buoni rapporti con il frate: rapporti improntati a zelo apostolico da una parte, e a rispettosa devozione dall’altra. È significativo quanto deposto da Caterina al processo canonico del santo francescano: «Mi sono sempre giovata de’suoi consigli, e sempre con grande mio vantaggio; anzi debbo dire che le sue parole […] mi fissavano così che io non aveva mai animo di replicare od oppormi al suo avviso. E qui debbo aggiungere che il Servo di Dio sempre che mi diceva qualche cosa consigliandomi e dirigendomi nello spirito, soleva sempre soggiungere con profonda umiltà: per altro io non sono il tuo confessore, regolati con lui ed ubbidiscigli pienamente». Nell’aprile del 1879 lo stesso p. Ludovico così riassumeva il senso della loro ultraventennale consuetudine: «tu fosti una delle prime terziarie francescane; io fui il primo amico dell’anima tua e delle tue ispirazioni. Però fui sempre al mio posto e stetti sempre indietro guardando che cosa Gesù voleva da te, senza entrare nelle vedute del Signore e così siamo stati sempre uniti nelle opere del Signore. Tu per una via io per un’altra; ma tutti e due siamo stati servi del Signore».
Nei primi mesi del 1878 la Volpicelli divisò di innestare il suo istituto al grande albero
francescano, aggregando le Ancelle e le Oblate al Terz’Ordine francescano e stringendo «una santa lega di carità» tra la Pia Unione e la congregazione dei Frati Bigi della Carità. Comunicò questo suo desiderio all’ardente frate, che acconsentì di buon animo. Il 5 marzo si recò alla Salute, dove celebrò messa e parlò alle partecipanti «come padre a figlie». L’unico mezzo «per andare al Cuore di Gesù» e «vivere nella vita di Lui», disse, è «il cuore di san Francesco; e San Francesco, nella pratica, è la povertà, la quale è lo spogliamento dell’anima da tutti gli attaccamenti e pesi di questo mondo. […] Lo scapolare dunque di San Francesco dev’essere per le signore la povertà nascosta sotto la veste del secolo, simbolo del cuore spogliato del fasto e delle vanità e degli amori del mondo». Raccomandò poi l’obbedienza al direttore e concluse: «l’opera si deve propagare e si propagherà; e voi dovete essere le propagatrici […] di questa istituzione del Cuore di Gesù». Al termine emisero la professione don Vincenzo Silvestri, cappellano delle Ancelle, Angelica Martinelli e Amalia Vercillo; mentre alcune Ancelle e Oblate ricevettero lo scapolare o il cordone di terziarie francescane. In quello stesso giorno la fondatrice inviò una lettera «a tutt’i figliuoli» di p. Ludovico. «O carissimi fratelli – scrisse – stringiamoci nel cuore divino di Gesù, e con la guida del comun Padre, San Francesco, e della vera Ancella fedelissima al Sacro Cuore, la B. Margherita, (mi si perdoni l’ardimento) sfidiamoci nello sforzarci di penetrare nell’interno di quel Cuore divino». Aiutamoci a vicenda perché «sia consolato quel Cuore trafitto, con la conversione di moltissime anime e l’acquisto di molti cuori che si donino interamente al suo amore».
[...]
Nel maggio del 1879 la Madre volle stringere «una Santa Lega e una piena comunione di beni spirituali» con le Elisabettine, analoga a quella annodata tempo prima con i Frati Bigi: le Ancelle sarebbero state tutte terziarie francescane e le Elisabettine tutte zelatrici dell’Apostolato della preghiera. Il cardinale Sanfelice approvò la «santa unione» e lo stesso fece, il 14 gennaio 1883, il ministro generale dei Frati Minori, p. Bernardino da Portogruaro.
[...]
Quando Sanfelice, il 24 agosto 1882, si recò alla Salute, oltre a ringraziarla per la sua pronta obbedienza, fece intendere alla fondatrice di essere disposto a concedere, in segno della sua «cresciuta benevolenza», qualunque cosa avesse domandato. Questa chiese, per lei e per le consorelle, di potere emettere i voti perpetui. L’arcivescovo acconsentì, decidendo però che la prima a farlo fosse stato lei. Per la cerimonia fu scelta la data del 17 ottobre, festa di S. Margherita Maria Alacoque. La sera dell’8 di quel mese, assieme ad altre sorelle, «entrò in solitudine» per prepararsi ai voti. Caruso predicò gli esercizi spirituali, mentre le Ancelle Aurelia Bonazzi e Concettina Patrizi espletarono «l’ufficio di Angeli presso le solitarie». Il noviziato della Madre, per decisione del cardinale, fu ridotto a soli tre giorni, nei quali depose il suo ufficio, assunto dalla sorella anziana Cubilla Fasano, per prendere posto tra le novizie. Sanfelice volle anche che nella cerimonia dei voti, e poi al momento della morte, la candidate vestissero l’abito bigio delle terziarie francescane. Caterina interpellò p. Ludovico da Casoria, commissario del Terz’Ordine, che le scrisse: «Il mio povero cuore giubila di santo gaudio nel sentire che l’arcivescovo di Napoli ha avuto l’ispirazione che tu indossi la tonaca bigia […]. Io ti benedico sempre e mi compiaccio e acconsento che tu e tutte le Ancelle, terziarie come te, addosiate la tonaca bigia […]. E quello che più mi consola è che questo abito di penitenza, color di cenere, lo portiate con voi nella sepoltura. Quanto è bello vedere Caterina colle sue Ancelle terziarie lassù in Paradiso […]. Bonaventura rappresenta me nella solennità tua. Mandami i confetti: ne darò due per ciascun povero». Nel giorno stabilito la Madre fu accompagnata all’altare dalla Fasano e da Rosa Carafa, in sostituzione dell’inferma assistente delle Oblate. Officiò il rito il canonico Caruso, assistito da p. Bonaventura Maresca, alla presenza delle Ancelle e «moltissime Oblate». Nelle ore pomeridiane fu esposto il Santissimo nell’oratorio e, sopraggiunto l’arcivescovo, fu impartita la benedizione eucaristica. Pregato di dire qualche parola, guardando Caterina ancora vestita con l’abito francescano, «ne restò come stupito, senza profferire parola». Arrivò anche p. Ludovico per congratularsi con lei; il frate, a dire di Jetti, scorgendola con la tonaca bigia e con la corda cinta ai fianchi, esclamò: «Oh! mio Dio, Dio mio, che vedo mai?... Oh!... Margherita in terra! Margherita Alacoque è tornata qui!». Sanfelice, nell’atto di congedarsi, chiese alla Volpicelli di recarsi in episcopio il giorno seguente con indosso l’abito bigio: cosa che ella fece puntualmente. Appena poi incontrò il direttore, il presule non si trattenne dall’esternargli una sua considerazione: «Come continuare, così vestita, le opere a lei affidate?». La stessa «impressione», fu annotato nel diario di casa, «ricevettero quasi tutte le sorelle presenti alla sacra funzione».
[…]
Alle sue consorelle toccò il pietoso ufficio di comporne le spoglie mortali sul letto, rivestendole con l’abito francescano. Nel primo pomeriggio la salma fu posta nella bara e trasportata in chiesa. Iniziarono le preghiere di suffragio delle Ancelle e delle suore Bige, che rimasero alla Salute per tutta la notte. La mattina seguente Ancelle e Piccole Ancelle recitarono «l’intero uffizio», al quale seguì la messa solenne, celebrata dal confessore, che si concluse con il canto del «Libera ed Assoluzione». Intervennero numerosi sacerdoti, furono celebrate 91 messe. A sera, andato via il popolo, l’intera comunità, «ciascuna colla candela accesa in mano», le orfanelle e le suore Bige sfilarono davanti al feretro per baciare «il piede e la mano» della Madre.

Attraverso la lettura del libro si coglie l’opportunità che la ricerca storica ed archivistica, svolta da mons. Illibato intorno alla figura di Caterina Volpicelli e sulla Napoli dell’ottocento, ha offerto per la ricezione delle istanze proprie della evoluzione spirituale della protagonista. Una evoluzione che viene presentata e documentata per l’intero arco della vita di Caterina e relazionata con le varie età ed eventi significativi per lo sviluppo della sua personalità di donna di credente e di fondatrice. Si intuisce, dalla lettura documentata della oggettività storica, la storia dell’anima di Caterina: dalla inquietudine della giovanetta che vuole rimanere fedele alla sua vocazione religiosa ed impegnarsi nella vita sociale, attraverso le sperimentazioni di affinità, di scelte e di identificazioni con modelli di vita spirituale esterni durante l’età giovanile e matura, fino all’assunzione intima, ecclesiale e definitiva, dello schema nuovo ed autonomo di vita religiosa propostole, per lei e per le sue consorelle, dal cardinale Sisto Riario Sforza con il nome e la fondazione delle Ancelle del Sacro Cuore.
Era nota l’insistenza della fondatrice circa l’opportunità che le Ancelle non indossassero un abito religioso per avere maggiore libertà «nell’esercizio del loro apostolato», anche in ambienti poco o per nulla disposti ad accettare un discorso religioso; e che praticassero «l’umiltà nel largo operare apostolico, la carità di famiglia con le Piccole Ancelle, il tener celata la professione religiosa nelle fogge varie dell’abito secolaresco». Per Caterina l’abito francescano fu piuttosto un abito di spiritualità e di umiltà.


Portale delle Ancelle del Sacro Cuore di Santa Caterina Volpicelli

domenica 9 giugno 2019

Un antico cammino francescano in onore di Sant’Antonio


Nell’area atellana della Diocesi di Aversa (“in Atellano” secondo la dicitura della Ratio Decimarum del XIV secolo), tra Grumo, Fratta, Cardito, Caivano ed Orta, si individuano le tracce di un antico e devoto pellegrinaggio svolto verso i luoghi dedicati a Sant’Antonio da Padova.
Il cammino si è originato nella seconda metà del ‘500; e dal ‘600 si è geograficamente esteso anche ad Afragola, situata nella Diocesi di Napoli, divenuta con il Santuario di Sant’Antonio la meta principale dell’antico pellegrinaggio.
Il pellegrinaggio si svolgeva soprattutto in primavera, nelle feste pasquali, e nei tempi legati alle celebrazioni rurali e alle ‘scampagnate’. La meta originaria fu rappresentata dal Convento dei Frati Cappuccini sorto a Caivano nel 1586.

La riforma dei Cappuccini sorta nel seno del movimentato francescanesimo della prima metà del ‘500, mosso tra la ‘osservanza’ antica del modello del Padre serafico Francesco e la vita ‘conventuale’, retaggio organizzativo dei francescani, fu caparbiamente motivata da frati come Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone; i quali vissero la loro esperienza nell’area marchigiana, legandola alla itineranza antica, al servizio agli appestati, e alla influenza eremitica dei Camaldolesi.
Esperienza eremitica ed attività urbana si intrecciarono poi necessariamente nella Roma della fine del ‘500, ove i Cappuccini erano giunti grazie alla protezione di Caterina Cibo, Duchessa di Camerino nipote del papa Clemente VII, e ove la loro riforma ormai avviata trovò una sede privilegiata e riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa. In quell’ambito emersero figure di cappuccini di grande capacità organizzativa come Francesco da Jesi e figure di santa semplicità come frate Felice da Cantalice, santo, che per oltre 40 anni fece la ‘cerca’ per le vie di Roma a nome dei suoi confratelli.
La mitica e santa origine storica dei Cappuccini, che permise la loro diffusione in tutta la cristianità dopo circa un quarantennio di impedimenti anche ufficiali alla loro espansione fuori delle terre d’Italia, fu accompagnata dall’ammirazione e dall’impegno di nobili e di popolani; i quali protessero e sostennero il francescanesimo cappuccino con aiuti ed ospitalità concreti.
Portatori tra la gente e testimoni di un rinnovato spirito di preghiera, di penitenza e di missione, vissuto nelle loro chiese conventuali, volutamente e poveramente costruite fuori dei borghi e delle città come ritiri di frati e mete di pellegrini, i frati con il cappuccio e con la barba e le loro dimore divennero così un punto di riferimento importante nel panorama della religiosità cattolica post-tridentina.

Questi originari tratti storici furono gli stessi che motivarono la presenza dei Cappuccini a Caivano nel corso del ‘500 e che portarono alla fondazione del locale convento extra urbano (1586). Prima di quella fondazione i cappuccini predicatori di transito trovarono un’accoglienza particolare, legata alla ospitalità offerta loro devotamente da Scipione Miccio, che fu promotore della costruzione del loro convento in Caivano.
Sicuramente l’opera dei frati nel paese dovette essere ricca di frutti spirituali anche per la popolazione che decise ed operò per il loro stanziamento stabile nel luogo periferico di Caivano che si incontrava con il territorio di Cardito e di Crispano.
Favorita dal Comune di Aversa qualche decennio prima (1545) nel territorio diocesano già si era insediata nella periferia verso Giugliano una comunità di frati cappuccini, che aveva edificato un conventino attiguo alla chiesa dedicata a Santa Giuliana.
L’espansione dei cappuccini sul territorio diocesano fu ben vista anche dal francescano papa Sisto V, il quale ad un anno dalla fondazione del convento di Caivano autorizzò nel 1587 con un suo breve la ricostruzione e l’ingrandimento di quello già esistente nel territorio di Aversa.
Il convento di Caivano fu costruito accanto ad una chiesetta già esistente, dedicata allo Spirito Santo, ricostruita e rimaneggiata per l’occasione dai frati.
Un interessante documento, ricavato dall’archivio parrocchiale di San Sossio in Frattamaggiore, ci rimanda l’importante collocazione del convento cappuccino caivanese assunta nei suoi primi anni di vita nel panorama devozionale del territorio.
Le genti e i fedeli di quel tempo, infatti, lo predilessero subito come una delle mete fondamentali del pellegrinaggio locale:

+ EODEM DIE (XXI d’aprile 1596 domenica d’alba) ET AD FUTURAM REI MEMORIAM
Nota come hoggi predetto dì 21 d’Aprile 1596, domenica d’alba fecimo una processione Sollenda con tutti li misterii della passione di Cristo, e con tutti li misterii della concettione Santissima, e con la charità; et andaimo a Santa Eufemia, e depoi al casale di Cardito, et appresso alla chiesa delli Scappuccini di Caivano, e depoi al casale di Fratta piccola, e depoi ce ne ritornaimo con un bellissimo tempo, senza romore, ma tutti allegramente et quanti; e se vedero tutti li uomini di Fratta magiore, e tutte le donne cite, et maritate et vidue, che fo una vista bellissima; e la processione andò bene ordinata videlicet con tutti li misterii andavano prima, e depoi quaranta homini a dui a dui con le intorgie; et depoi lo crucifisso di Santa Maria della Gratia con li giovani vestiti e depoi lo crucifisso del Rosario con tutti li confrati vestiti, et depoi la ...

Probabilmente per quell’antica processione di frattesi, svoltasi nella Domenica di Pasqua del 1596 tra i casali circostanti, il convento degli Scappuccini di Caivano dovette rappresentare la meta principale, sia per la distanza e sia per le iniziative devozionali e popolari che ivi si realizzavano. A questo proposito risulta utile la descrizione data da Gaetano Parente delle attività che proprio nella Domenica di Pasqua si realizzavano fin dall’antichità intorno all’altro convento cappuccino della Diocesi:

In questo luogo, ch’è sito nel limite giurisdizionale di un territorio tra Aversa e Giugliano, fin dagli antichi tempi costumavano celebrare, i frati, una grande festa nel dì di Pasqua. Innanzi al sagrato della chiesa rizzavan di molte baracche, venditori d’ogni sorta mandorlato o seccumi, accorrendovi in folla compratori e divoti; così che l’improvvisa fiera o mercato addiveniva, in quel giorno, occasione di commercio, di spassi, di perdonanze…

Dai documenti ecclesiastici si conosce l’affermarsi ed il consolidarsi della devozione a Sant’Antonio presso il convento di Caivano nel corso del ‘600, e l’istituzione nel 1661 della festa come santo titolare.
Il ‘600 fu il secolo durante il quale il pellegrinaggio locale si arricchì di nuovi mete e luoghi dedicati alla devozione francescana e in particolare sant’Antonio: il convento dei frati di Grumo Nevano, la chiesa dell’Annunziata e Sant’Antonio di Fratta, il convento dei frati di Afragola, gli altari e le edicole innumerevoli nelle vie del territorio e nelle altre chiese di Fratta (Sant’Ingenuino e Sant’Antonio), Carditello (San Giuseppe e Santa Eufemia), ed Afragola (San Marco in Silvis ove esiste una effigie cinquecentesca di Sant’Antonio).


Il cammino antico si sviluppò con la devozione del popolo e con l’impegno di ragguardevoli e nobili signori. Al circuito cinquecentesco originario si aggiunse il ramo che congiungeva Grumo con Fratta e Cardito ed il ramo che congiungeva Fratta e Carditello con Afragola.

La storia del convento francescano di Grumo iniziò nel 1589 grazie alla devozione di Carlo Loffredo, signore di Cardito e Monteforte, che donò ai frati la terra grumese ereditata dalla moglie Vittoria Brancaccio. L’andirivieni della carrozza del signore tra Cardito e Grumo aveva una sosta devota ed esemplare nel luogo dell’Arco a Fratta ove esisteva una edicola della Madonna Annunziata posta sul residuo medievale dell’acquedotto atellano.

Nella prima metà del '600 l'edicola fu dedicata anche a Sant'Antonio da Padova. La chiesa dell’Annunziata e Sant’Antonio fu edificata intorno al 1630, epoca del Riscatto. L'opposizione all'erezione della chiesa e le altre vessazioni del Patriarca De Sangro, compratore feudale del Casale di Frattamaggiore, furono la causa che fece scatenare il movimento popolare che portò alla 'ricompra' del paese. 

In questo movimento si accrebbe la devozione al Santo di Padova, e i voti popolari che a Lui si rivolgevano per il buon fine della questione si intrecciarono fortemente con le vicende del Riscatto, fino al punto di considerare emblematica la stessa costruzione della chiesa (de Capassi, Canto V, Ott. 64). Non a caso la piazza dove la chiesa si eresse fu chiamata Largo Riscatto.

Dalla descrizione della primitiva chiesa operata dallo storico locale Florindo Ferro si apprende che essa era stata costruita al posto dell'arco antico sormontato da una "rozza croce di ferro" e contenente una edicola con l'immagine della SS. Annunziata alla quale era stata aggiunto il segno devozionale di Sant'Antonio. 

La dedicazione della nuova chiesa anche a Sant’Antonio fu motivata evidentemente per il suo ritrovarsi sul percorso del pellegrinaggio francescano locale (Grumo-Fratta-Carditello-Afragola). Questo percorso congiungeva la meta del Convento di San Pasquale e Santa Caterina di Grumo con quella del Convento dedicato al Santo di Padova fondato nel 1633 dai frati francescani riformati ad Afragola. Il percorso attraversava il Casale di Fratta toccando il sito dell'edicola dell'Arco e il sito della chiesa campestre di Santa Giuliana; raggiungeva per i sentieri di campagna il Santuario di Afragola dopo la sosta devozionale presso la chiesa di Sant'Eufemia di Carditello e costeggiando l’Arcopinto sull’antico sentiero dell’acquedotto.
In Frattamaggiore un segno importante della devozione e del percorso antoniano risalente al ‘600 si ritrova anche nella chiesetta gentilizia dei Conti Genoino dedicata a Sant’Ingenuino e a Sant’Antonio. In particolare la statua del santo francescano in essa custodita è oggetto privilegiato della devozione popolare del paese, richiamandosi sicuramente alle vicende del Riscatto (1630). 
Vicende che sono notevolmente significate nella cappella anche dalla presenza della tomba di Giulio Giangrande, vecchio eroe del tempo che si rifiutò di pagare le tasse baronali imposte ai portatori di bastone e che, con il suo gesto, diede il via alla riscossa popolare.

A questo antico circuito devozionale si legano alcuni tratti particolari del francescanesimo locale, fortemente caratterizzato dalla popolarità di Sant’Antonio da Padova e San Pasquale Baylon, e dalla diffusa religiosità animata da numerose figure di beati e venerabili (ad es. Beato Modestino di Gesù e Maria).

Il francescanesimo in Campania fu portato verso il 1215 da frate Agostino d'Assisi, discepolo di san Francesco, e da allora fu avviata la “Provincia Terrae Laboris” che abbracciava gran parte del Regno di Napoli. Nella Diocesi di Aversa si registrano presenze e segni francescani sicuramente datati al XIV secolo. Nel 1670 la Provincia francescana di Terra di Lavoro era divisa in Osservante e Riformata, e fra queste, favorita dal Viceré Don Pietro d'Aragona, si inserì anche la Custodia di San Pietro d'Alcantara, di provenienza spagnola e dotata di Costituzioni austere, impegnative e fortemente ascetiche. Gli Alcantarini presero possesso della Casa di Santa Lucia al Monte di Napoli e si estesero in tutto il Regno, fino a Lecce, diffondendo anche la devozione a San Pasquale, altro santo spagnolo. In Campania essi, incorporando anche i riformati Barbanti, ebbero, inoltre, anche i conventi di Santa Caterina e San Pasquale di Grumo Nevano, di San Giambattista di Atripalda, e di Santa Maria Occorrevole e San Pasquale di Piedimonte Matese. Questi Frati avviarono una esperienza religiosa all'interno della quale si formarono Santi come Giovanni Giuseppe della Croce, Maria Francesca delle Cinque Piaghe, e il Beato Egidio di San Giuseppe. Al tempo della nascita di padre Modestino (5 Settembre del 1802) e della sua entrata nella vita francescana (autunno del 1822), i Frati Alcantarini erano diffusi in più conventi del napoletano e del casertano, ed erano riusciti a scampare alle leggi punitive borboniche e alla soppressione napoleonica. Oggi tutti i Francescani di Terra di Lavoro, da Minturno a Teano, da Roccamonfina a Caserta, da Piedimonte Matese a Pietramelara, da Orta di Atella a Grumo Nevano, da Afragola a Somma Vesuviana, da Napoli a Torre, sono riuniti nella Provincia del SS. Cuore di Gesù, istituita nel 1942.


Ancora oggi, in questa nostra terra, la devozione pellegrina per Sant’Antonio, Dottore Evangelico, e miracoloso frate della prima ora, appare particolarmente rappresentativa sia delle ispirazioni di San Francesco d’Assisi e sia delle aspettative della preghiera dei fedeli e della festa religiosa popolare.

Fonti in: 
Archivio Storico Frattese
Archivio Storico Diocesano di Aversa
Archivio Parrocchiale di San Sossio
Archivio Rassegna Storica dei Comuni (Istituto di Studi Atellani)